Quello che tutti conosciamo come cinema Rubini è sorto come teatro agli inizi del secolo scorso, ricavato all’interno della Casa del Popolo, inaugurata nel maggio del 1908.
Il grande edificio, progettato su incarico del Consiglio direttivo dell’Unione delle Istituzioni Sociali Cattoliche Bergamasche, presieduto da Nicolò Rezzara, si estende su una vasta area compresa tra viale Papa Giovanni XXII, via Paleocapa e via Novelli; un’area caratterizzata da una nutrita sequenza di palazzi in stile liberty ed eclettico. Oltre al teatro, l’edificio comprendeva le istituzioni cattoliche, un albergo, un ristorante, negozi, appartamenti, la Banca Piccolo Credito, la cappella, sale di lettura, sala biliardo e, allora come oggi, la redazione de “L’Eco di Bergamo”.
Dedicato a Giovambattista Rubini (Romano di Lombardia, 7 aprile 1794 – 3 marzo 1854), celebre tenore romanese, il teatro fu inaugurato nel 1907 e restò in attività per quasi 80 anni, guadagnando un posto d’onore nell’immaginario collettivo soprattutto grazie al cinematografo, presente e molto attivo sin dagli esordi del locale.
L’INAUGURAZIONE
L’inaugurazione avvenne la sera del 16 novembre 1907 con l’opera Poliuto di Gaetano Donizetti (1), in una platea stipata, con molte signore fra il pubblico. La luce calda delle lampade a incandescenza fondeva in un insieme armonico le tonalità delle decorazioni e della pittura, e si ripercuoteva nelle dorature della sala.
Ricorda Ermanno Comuzio che l’orchestra fu da subito interrotta da schiamazzi di studenti che pretendevano a gran voce, prima dell’opera, l’esecuzione dell’Inno di Garibaldi: inno patriottico, ma non certo cattolico; e il teatro era stato realizzato per ospitare, nella Casa del Popolo, sede anche de “L’Eco di Bergamo”, quotidiano della Curia, le manifestazioni artistiche di maggior portata per il mondo cattolico. Alle ragioni idealistiche si erano mescolate quelle derivate dalle istigazioni di impresari concorrenti disturbati dalla nascita del nuovo teatro.
Quella sera, una rappresentanza di Romano depose ai piedi del busto di Giovambattista Rubini, posto nell’atrio del teatro, due splendide corone con nastri: una a nome del Municipio, l’altra a nome dei Luoghi Pii fondati dal celebre tenore romanese.
Dopo lo spettacolo, la direzione del Rubini offrì, nei locali di ritrovo della Casa del Popolo, un banchetto servito egregiamente dal signor Carminati dell’attiguo Albergo Moderno; il ridotto del teatro era infatti in comoda comunicazione con una sala da caffè annessa all’albergo, che ad ogni spettacolo faceva servizio da buffet.
COM’ERA L’ANTICO TEATRO
Il teatro, tutto in muratura, cemento e ferro – per scongiurare ogni pericolo d’incendio -, aveva una vasta platea di forma esagonale, che si estendeva anche sotto le due grandi logge che la circondavano; un palcoscenico piuttosto ristretto e tre ordini di palchi con sei palchetti di proscenio; le logge erano sostenute da una serie di graziose colonnine di ghisa, difese da robuste ed eleganti balaustre di ferro battuto, graziosamente disegnate. Purtroppo le colonnine disturbavano un po’ la visibilità.
Le decorazioni, di stile floreale seicentesco modernizzato, avevano figure e medaglioni allegorici. Le molte dorature in platea e nelle logge rendevano ancor più prezioso il teatro, riccamente illuminato a luce elettrica con graziosi lampadari e con un grandioso ed elegante lucernario sostenuto da tralicci di ferro, innalzato al centro della platea e circondato da una vetrata graziosamente decorata (2).
Nel teatro, eleganza, comfort, solidità, capienza e modernità erano coniugati con sapienza ed equilibrio, grazie alla presenza di impianti moderni, quali caloriferi centrali, fonti di energia indipendenti, aspiratori, ventilatori, estintori automatici, apparecchi meccanici per gli scenari. Era dotato di parecchie bocche d’acqua per l’estinzione di incendi, nonché di numerose uscite di sicurezza. E, grazie alla buona acustica (favorita dal vuoto lasciato sotto la platea e sotto il palcoscenico), era adatto a spettacoli di musica e prosa.
Moderni i camerini per gli artisti (posti su un fianco del palcoscenico), così come i locali per i coristi e le comparse, che si trovavano sotto il palcoscenico.
SPETTACOLI PER TUTTI, MA IL CINEMATOGRAFO PRIMEGGIAVA
Nel periodo che seguì l’inaugurazione, vi fu un breve ma frequentatissimo corso di recite di Ermete Novelli, e a un mese di distanza in teatro approdarono spettacoli d’ogni tipo, dalla prosa al varietà, dalla commedia dialettale ai concerti: ma il cinematografo fu comunque l’attività più sistematica, risultando in certi anni il locale più attivo della città, l’unico a permettersi a Bergamo pubblicità in grande stile sui giornali.
Fu il Rubini ad offrire al pubblico i primi Kolossal come Gli ultimi giorni di Pompei, diretto da Luigi Maggi (la “prima” si tenne il 21 febbraio 1909): il primo film muto storico-epico del cinema italiano ricordato da Ermanno Comuzio (3) come “una rivoluzione spettacolosa nelle convenzioni del trattenimento cinematografico nella prima decade del Novecento […] Giorni indimenticabili in particolare per la cassiera del teatro, Diana Barberini, che non ancora ventenne era stata ingaggiata dai gestori della Casa del Popolo (tra cui l’onorevole Gavazzeni, padre del maestro Gianandrea) per insediarsi al botteghino…. che aveva accettato l’incarico più per la passione del cinema che per la retribuzione”.
E’ interessante notare che Gli ultimi giorni di Pompei (stesso titolo di quello muto del 1908) fu anche il primo film diretto da Sergio Leone (1959).
Altro grosso successo di pubblico ottenne nel 1910 La Gerusalemme liberata, un film diretto da Guazzoni che, per meglio documentarsi, compì anche diverse ricerche alla Civica Biblioteca A. Mai. Altri kolossal dell’epoca, Il conte Ugolino e Napoléon, presentati come “colossali capolavori storici istruttivi”: un pallino di diversi locali per dare più che altro una patina culturale a spettacoli che il più delle volte avevano poco da spartire con la cultura.
A quel tempo, le proiezioni al Rubini erano “accompagnate da un pianoforte suonato da un certo signor Martina, che aveva carta bianca nell’eseguire pezzi di diversa natura a seconda del carattere delle singole sequenze che si svolgevano sullo schermo”.
Su una delle pagine pubblicitarie, pubblicata domenica 16 agosto 1914, si annunciava che dalle 16 alle 23 si sarebbe tenuto un programma straordinario con due film: Squadra navale francese nel Nord Mediterraneo e Destino vendicatore, “emozionantissimo dramma in tre parti”.
E fu proprio in quel 1914 che il teatro fu attivo come sala cinematografica per tutto l’anno, “con programmi di prim’ordine e un afflusso di pubblico sempre sostenuto”. Capitava che a volte gli intermezzi fossero rallegrati da intrattenimenti musicali, con un repertorio che variava dal drammatico allo storico, dal poliziesco al romanzo d’appendice. E non mancava mai la comica finale.
La serie di film che riscosse maggior successo fu Fantomas.
Anche se il Rubini ebbe per anni una compagnia stabile di prosa, fu comunque il cinema a riempire il teatro. Un particolare successo di pubblico ebbe nel 1938 il film Il segno della croce con Fredric March e Charles Laughton, imponendosi su tutti gli altri film storici “per la meraviglia della sintesi drammatica, lo splendore delle immagini, la tumultuosa potenza dei sentimenti”. La sontuosa messinscena mostrava “una Roma superba, dal palazzo dell’imperatore alle case dei patrizi, alle scalee immense del Circo, ai sotterranei dove sono rinchiusi i cristiani. Una visione superba per potenzialità di mezzi impiegati nella lavorazione, per la grandiosità di linee veramente imponenti, per il gusto e le proporzioni concordi dell’insieme. Un film sonoro perfetto. Incantato il pubblico”.
E’ sempre l’immancabile e poderoso “Il Novecento a Bergamo” a ricordare un evento memorabile nella storia del teatro: un’iniziativa benefica riservata ai poveri delle Conferenze di San Vincenzo per assistere al film Monsieur Vincent. Ricordando quella serata, don Andrea Spada (4) scrisse che l’invito era stato rivolto ai più poveri: umilissime donnette, poveri del dormitorio popolare, dei refettori, povera gente che abitava sulle soffitte, nei sottoscala, che d’estate dormiva all’aperto. Il locale era colmo e soffocante. Si dovette sbarrare il teatro tanta era ancora l’umile gente che attendeva di fuori. “Al buio pareva vuoto tanto era il silenzio, tanta la partecipazione accorata al film di tutta quella gente”. E a un certo punto non mancarono i singhiozzi in sala.
Talmente vario il repertorio che nell’ottobre del 1963 vi fu allestito uno spettacolo “sconvolgente”: un’edizione, voluta dal Circolo Artistico Bergamasco, in forma di “oratorio”, dell’opera Roberto Devereux di Gaetano Donizetti, diretta dal maestro bergamasco Giulio Lorandi. E dato che in città mai si era assistito a delle pagine melodrammatiche non in costume, l’esibizione suscitò grande stupore, tanto che i patiti della lirica fecero di tutto perché la rappresentazione fosse ripetuta più volte; cosa però impossibile a causa del risicato bilancio del Circolo, che non permetteva ripetizioni costose.
DUE RINNOVAMENTI IN VENT’ANNI… E POI LA FINE
La sala del Rubini fu letteralmente trasformata nel 1954 con un radicale intervento, eseguito su progetto dell’architetto Luciano Galmozzi, che ne cancellò l’impronta stilistica originaria. Logge e colonne furono sacrificate a favore di una moderna soluzione architettonica: platea e una loggia a vasta curva senza bisogno di pilastri in vista.
La capienza venne aumentata; si guadagnò da una parte in visibilità e praticità, dall’altra si perse per sempre un caratteristico esempio di architettura teatrale d’epoca, come una decina d’anni dopo avvenne per il Teatro Nuovo.
Con i suoi 1.600 (?) posti a sedere fra platea e galleria, offrì per decenni film per famiglie, le anteprime dei western di Sergio Leone e tutti i cartoni animati di Disney, restando però sempre aperto ad eventi di varia natura.
Il locale fu rinnovato anche nel 1974, quando divenne “Rubini 2000”, nome col quale per un certo periodo divenne frequentatissimo, anche grazie a una serie di importanti concerti, come la prima uscita ufficiale della Premiata Forneria Marconi in veste di supporto dei Procol Harum.
Vi si esibirono inoltre gli Area, il Banco del Mutuo Soccorso, Arthur Brown, i Pooh più volte e molti altri.
Tirò avanti negli ultimi anni cercando di sopravvivere all’imminente tramonto delle sale cinematografiche, sostituendo agli inizi degli anni ‘80 il Donizetti per la prosa nel periodo dei lavori di restauro e facendo cinema per ragazzi promosso dal Comune.
Alla fine, la chiusura definitiva, a causa sia della ben nota crisi delle sale cinematografiche a Bergamo e sia della crisi stessa del cinema, che diede un ulteriore colpo alla disaffezione del pubblico decretando il declino delle sale cinematografiche: la trasformazione, nel 1987, in Centro Congressi Giovanni XXIII (un centro diocesano di convegni, congressi, conferenze e attività culturali), rientra perfettamente nelle finalità per le quali il Rubini era nato nel 1907.
IL RUBINI NEI VOSTRI RICORDI
Per i film, dagli anni ‘40 agli anni ‘60 sono ricordati: Bernadette (film del 1943), Quo Vadis (film del 1951), I 10 comandamenti (film del 1956), Ben Hur (film del 1959), I magnifici 7 (film del 1960), Un dollaro d’onore (visto nel ‘60), West side story (film del 1961), Il Laureato (visto nel 1967).
Per gli anni ‘70: Rocky (la prima serie risale al 1976), La febbre del sabato sera (film del 1977), Guerre Stellari (visto nel 1977), Grease (film del 1978).
Per gli anni ‘80: Il Tempo delle mele (film del 1980), E.T. l’extra-terrestre (film del 1982), I Goonies (film del 1985).
I vostri film Disney: Biancaneve e i sette nani, Bianca e Bernie, Red e Toby nemiciamici, Gli Aristogatti, Mary Poppins, con in regalo, nei primi anni ‘6o, la spilla di Mary Poppins (un altro regalo di cui ci si ricorda era la Coca-Cola distribuita gratis la domenica mattina per lanciare il prodotto).
Dopo il film era usanza andare a mangiare un cono di panna (o meglio, lattemiele) alla latteria Valseriana in viale Papa Giovanni: “Io ricordo la domenica pomeriggio….si entrava alle 14, si vedeva il film due volte e mezzo, si usciva verso le 18, babbo e mamma ci aspettavano fuori. Se era appena passato il 27 del mese, si andava tutti alla Valseriana a mangiare la panna montata con la cannella sopra. E queste erano le nostre domeniche, peccato che, avendo dei fratelli, ero costretta ai film di cow boy con tanto di urla partecipate quando ‘arrivavano i nostri!’ Erano gli anni ‘50″.
C’è anche chi ricorda che sul muro esterno del “Valseriana”, all’angolo con via Guglielmo D’Alzano c’era una bacheca che pubblicizzava il film che in quel momento si proiettavano al Rubini.
Ma c’era anche chi preferiva il cono di panna dell’altrettanto mitico De Zordo, in S. Orsola.
In ogni caso, negli anni 70 a due passi dal Rubini c’era il forno Nessi, “che sfornava ‘certe’ pizzette…”. Proprio in quegli anni il Rubini ospitava anche le assemblee che si tenevano durante le manifestazioni studentesche (quelle dell’Esperia sicuramente).
Sono solo alcuni dei tanti ricordi legati alle vicende di un teatro che per qualche decennio ha accompagnato le nostre generazioni, conquistando di diritto un posto speciale nei nostri cuori.
NOTE
(1) Tra i principali interpreti del Poliuto, Elvira Magliulo (Paolina), una delle migliori allieve del maestro Beniamino Carelli al Conservatorio di Napoli; a fare da tenore lo spagnolo José Garcia, mentre il baritono era un ventisettenne Riccardo Togni. Direttore d’orchestra, il cavalier Gino Marinuzzi, già noto a Bergamo essendosi esibito più volte al nostro teatro Donizetti.
(2) Come riportano le cronache del tempo, il teatro occupava un’area di 700 mq, misurando m. 32X23; il palcoscenico era profondo m. 9; le colonnine che sostenevano le logge erano fornite dalla ditta Mancini di Bergamo e pesavano complessivamente 200 quintali; le balaustre in ferro battuto erano state lavorate dalla ditta Scalori Leali di Milano; le decorazioni, con figure e medaglioni allegorici erano opera dei fratelli Zappettini di Bergamo, autori anche del telone-sipario. Lampadari e braccioli erano forniti dalla ditta Radaelli di Milano. L’impianto comprendeva 600 lampade e due potenti fari di sicurezza, opera della ditta cittadina Limonta, mentre il grandioso lucernario sostenuto da tralicci in ferro, posto al centro della platea, era della ditta Lorini di Milano; i caloriferi erano forniti dalla ditta cittadina Giacomo Rusconi e figli; la vetrata, graziosamente decorata, era opera della ditta concittadina Fratelli Piatti.
(3) Giornale di Bergamo del 17 luglio 1962.
(4) L’Eco di Bergamo del 1° ottobre 1948.
Riferimenti
Pilade Frattini e Renato Ravanelli, “Il Novecento a Bergamo – Cronache di un secolo”. A cura di Ornella Bramani – Vol. II. UTET. Anno 2013.
Non si può certo dire che in passato Bergamo sia stata a corto di teatri, soprattutto negli anni della Belle Époque, quando erano in molti ad uscire la sera e a riempire teatri e ritrovi, in Città Bassa come in Città Alta.
A cavallo fra Otto e Novecento Bergamo Bassa poteva vantare, accanto al teatro massimo della città (il vecchio “Riccardi”, nel 1897 intitolato a Donizetti), la presenza di due teatri – l’Ernesto Rossi e il Givoli -, che sorgevano in Piazza Baroni nei pressi dell’odierna Casa della Libertà, nello spazio tradizionalmente legato allo spettacolo e al divertimento che gravitava intorno all’antica Fiera.
C’è una fotografia che li ritrae l’uno accanto all’altro, in quella Piazza Baroni che da secoli accoglieva tendoni e baracche provvisorie, allestite per ogni sorta di spettacolo e divertimento.
Non molto belli ma abbastanza capienti, tra i due, il Givoli era il più grande e fu l’ultimo a scomparire (1897) per dare spazio, al di là della Roggia Nuova, al Teatro Nuovo (detto allora “Nuovo Politeama”, inaugurato nel 1901), da edificarsi secondo i criteri di eleganza dettati dal clima di modernità che ormai si andava respirando nel centro cittadino.
Un paio d’anni prima dell’inaugurazione del Nuovo, e cioè nel 1899, il capomastro Antonio Dolci costruiva, a pochi passi dalla Stazione ferroviaria, il Politeama Novelli, che ebbe vita breve perché nel 1903 Nicolò Rezzara aveva proposto di edificare in quel luogo la Casa del Popolo, entro la quale venne ricavato il Teatro Rubini, sorto nel 1907.
Ne seguirono altri: il 1923 fu la volta dell’ Augusteo, costruito in Borgo Palazzo e rimasto in attività – pare – fino allo scoppio della Seconda guerra mondiale, quando la sala venne requisita per ricavarne una mensa. Nel 1927 fu invece inaugurato il Duse, sulla Rotonda dei Mille: il teatro dei grandi spettacoli di rivista dell’epoca, demolito nel ’68.
Disseminati tra i borghi e le periferie, oltre ai teatri di quartiere (il già citato Augusteo, oppure il Del Borgo in Piazza Sant’Anna ), vi furono anche quelli dei collegi (in primis il teatro del collegio Sant’Alessandro) e degli oratori, fra i quali quello dell’Immacolata, dei Celestini in Borgo Santa Caterina, delle Grazie, di Boccaleone, di Redona (poi Qoélet) o del più recente S. Andrea, in via Porta Dipinta.
In Città Alta erano ormai in decadenza due teatrini che avevano funzionato per tutto l’Ottocento, quello di piazza Mascheroni e il San Cassiano; a partire dagli anni Trenta cominciò poi a funzionare il Teatro del Seminarino, mentre il Socialechiuse nel ’32.
Vi erano poi i teatri del dopolavoro; importante fu la Sala del Mutuo Soccorso di via Zambonate nonché il teatro Minerva del dopolavoro ferroviario presso la Stazione.
Vi era un piccolo teatro anche in via Torquato Tasso, dove si esibiva l’Estudiantina, un’orchestrina di chitarre e mandolini (1).
Si è vagheggiato anche di un certo teatro “Smeraldo”, aperto negli anni ’40-’50 in Viale Vittorio Emanuele di fronte al civico 12, ma di questo non abbiamo certezza.
Tra i tanti , a fare la storia sono stati in cinque: il Sociale, il Donizetti (già Riccardi), il Nuovo, il Rubini e il Duse. I primi due realizzati in particolare per ospitare spettacoli d’opera lirica, anche se mai mancò la prosa seria, per la quale si accoglievano anche le compagnie di giro quando erano nei paraggi (come non pensare a Emma e Irma Gramatica, Angelo Musco, Gualtuero Tumiati, Maria Melato, Ruggero Ruggeri, Ermete Novelli). E poi il varietà, la danza, le riunioni pugilistiche, i trasformismi (Fregoli come grande richiamo), i comizi, le giocolerie, le donne barbute, le donne cannoni, le lotte con i tori, per poi approdare, in molti casi, al cinema.
Tanti teatri dunque, grandi e piccoli, dalla cui storia emerge il ritratto di una Bergamo musicale e godereccia, straordinariamente vivace e vissuta: una geografia molto ramificata di locali, che ha regalato per molto tempo svago, cultura, occasioni di incontro e tanto, tanto benessere.
Alla fine del Novecento, il Rubini e il Duse erano morti e sepolti da un po’, mentre del Nuovo sopravviveva ormai il suo fantasma (non parliamo poi della strage dei piccoli teatri e del Sociale ancora da recuperare). In poco più di cinquant’anni Bergamo aveva distrutto un patrimonio artistico che fondava la sua identità sociale, culturale e civile, non preoccupandosi nemmeno di costruire un museo del teatro, a disposizione dei bergamaschi, in cui fossero esposti disegni, cartelloni, biglietti, foto che documentassero la sua storia.
Resisteva l’Auditorium in Piazza della Libertà, che, sempre legato all’associazione cinefila Lab80, poteva contare sulla sua super sala che era anche perfetta come teatro.
Sparito l’Augusteo, il teatro Minerva del dopolavoro ferroviario, il Salone del Mutuo Soccorso in via Zambonate, il teatro della Casa del fascio e dei sindacati in via Scotti, “il bel teatrino liberty del Collegio Sant’Alessandro, ora un triste auditorium in cemento armato! Ma quando mai i teatri si fanno in cemento armato?!”, lamentava Mimma Forlani (2).
TEATRO ROSSI (GIA’ TEATRO DELLE VARIETA’)
Artefice della nascita del primo teatro stabile, dopo il “Riccardi”, fu un ex capomastro intraprendente, attratto dal mondo dello spettacolo: quel Luigi Dolci che già aveva gestito il “Riccardi” fino al 1879, per poi gestire il Teatro delle Varietà, del quale Luigi Pelandi ci ha tramandato notizie.
Il Teatro delle Varietà era una gran baracca fissa con basi in muratura, che si trovava in Piazza Baroni (presso il Torresino di mattina), dov’era presente almeno dal 1881 (3). La prima rappresentazione portata su quelle tavole era stata l’Aida, recitata da marionette.
Il teatro aveva subìto sensibili trasformazioni per cura del proprietario Luigi Dolci, su disegno del figlio Antonio. L’interno aveva due ordini di gallerie e poteva contenere un massimo di 1200 persone.
Narrano le cronache del tempo che il teatro doveva essere un ambiente “aristocratico”, e per quanto fosse disposto per qualunque produzione, doveva destinarsi soprattutto a trattenimenti di prosa. Vi si esibirono le migliori compagnie drammatiche del tempo, ma vi furono anche concerti celebri, pianisti e violinisti di cartello (4). Sta di fatto però che il popolino lo chiamava “ol filatòi del Dolci”, perché amene coppiette di innamorati “filavano” tranquillamente nell’oscurità della sala.
Nel 1883 questo teatro assunse il nome di Teatro Rossi, in omaggio al grande attore Ernesto Rossi, che vi aveva tenuto una serie di recite nella primavera di quell’anno. Il Teatro Rossi venne demolito nel febbraio del 1894 poiché il Dolci non volle saperne di pagare la tassa annuale di posteggio all’amministrazione dell’Ospedale.
E’ interessante notare che il suo ultimo impiego fu per un congresso socialista, relativo all’approvazione dello statuto regionale (5).
POLITEAMA GIVOLI
Vita breve ebbe poi il Politeama Givoli, che fu edificato nel 1882 accanto al Teatro delle Varietà, là dove ogni anno per la stagione fieristica stazionava un circo equestre, che in bergamasco si chiamava bal di caài. Costruito su progetto dell’architetto Gaetano Gallizioli, venne definito una “mostruosità” da un giornale del tempo.
Il teatro, costruito in muratura e legno, aveva tre ordini di palchi ed una vastissima platea che poteva contenere 2500 persone (6).
Le cronache del tempo lo descrivono come un ambiente popolare e più che altro destinato a spettacoli di circhi equestri e di varietà: in quegli anni, il termine Politeama veniva usato di frequente e si riferiva ad un luogo dove venivano rappresentati spettacoli di vario tipo: prosa, lirica, varietà, concerti, circo equestre, comizi, esperimenti “scientifici” e, più tardi, anche il cinematografo.
Nel 1894 e nel ’96 Filippo Turati vi tenne due famosi discorsi: “i socialisti sono i veri conservatori” e “la politica del proletariato” (7).
Il 2 novembre del 1897 vennero iniziati i lavori di demolizione perché l’amministrazione ospedaliera rivendicò a sé l’uso dell’area sulla quale sorgeva il teatro, e alla fine di quel mese la Piazza Baroni era completamente vuota! (8).
POLITEAMA NUOVO
Mentre si abbatteva il Politeama Givoli, su di un terreno situato al di là della Roggia Nova, che a quel tempo scorreva a cielo aperto, si edificava, sull’area dell’ex giardino Piccinelli, il Teatro Nuovo, detto allora “Nuovo Politeama”, in quanto avrebbe dovuto rappresentare un po’ di tutto.
Ma la costruzione, iniziata nel giugno del 1897, andò per le lunghe a causa di diverse inadempienze degli appaltatori. Gli impresari appaltanti, Giovanni Givoli e Innocente Carnazzi, dopo aver ricorso a giudizio, furono felici di liberarsi del fabbricato, cedendolo a Carlo Ceresa. Questi fece portare a termine la costruzione e – poiché si eccepiva sulla stabilità delle gallerie – ottenne il permesso di agibilità con un singolare espediente, che viene così riferito da Luigi Pelandi: “Fatta caricare’ dai suoi coloni di Stezzano, su una lunga fila di carri, una innumerevole quantità di sacchi di frumento, li fece collocare vicinissimi gli uni agli altri. Poi mise per beffa il cartello: tutto esaurito, e una bella sera, sfolgorante il teatro di luce, chiamò la commissione dei tecnici per constatare la gravità, la quantità, la qualità ed eccezionalità del pubblico così pesantemente assorto. La commissione vide, commentò ed autorizzò a pieni voti l’esercizio teatrale” (9). E finalmente il 23 marzo 1901, il Teatro Nuovo fu inaugurato con una rappresentazione de “La Sonnambula” di Vincenzo Bellini.
Fu con il geniale e temerario Pilade Frattini, impresario del Nuovo dal 1904 al 1915, che si ebbero le rappresentazioni più stravaganti e variate: con Frattini divenne la sala più polivalente della città, ospitando opere liriche, operette, commedie e drammi, concerti, conferenze, comizi, balletti, esperimenti scientifici, giochi popolari, spettacoli circensi, incontri di pugilato e lotta…
Fu proprio al Nuovo che nel 1913 si organizzò il primo incontro di Boxe, in una serata d’accademia di ginnastica e scherma, mentre nel novembre del ‘28 il teatro Duse iniziò ad ospitare importanti manifestazioni di pugilato, che interessarono poi anche altri locali cittadini: oltre che al Nuovo, presso la sala Vittoria in P.zza S. Spirito, nella palestra dell’Atalanta in via Verdi, al Teatro Sociale, al cinema varietà Augustus in Borgo Palazzo e al Teatro Minerva del dopolavoro Ferrovieri.
Sotto Frattini vi fu la storica esibizione (1911) della Compagnia Futuristica Marinetti & Co (due anni prima “Le Figaro” aveva pubblicato il famoso Manifesto del Futurismo), suscitando scandalo tra i benpensanti e invettive anticlericali durante lo spettacolo. Nel 1915 Il teatro ospitò Luigi Pirandello in veste di direttore artistico di una compagnia teatrale che si esibì in “Sei personaggi in cerca d’autore”.
Fra i nomi celebri, Pietro Mascagni, Emma Gramatica, Fregoli, il grande giocoliere bergamasco Enrico Rastelli, ma anche, per la gioia dei bambini, il “nano Bagonghi”, così come l’indimenticabile Ettore Petrolini, Tito Schipa, ma anche D’Annunzio e Mussolini. L’elenco potrebbe continuare all’infinito, in quello che per lustri è stato l’unico teatro popolare della Città, solo più tardi affiancato dal glorioso “Duse”.
Nel corso della sua storia il Nuovo ha avuto diversi assetti, determinati dalle necessità che di volta in volta emergevano nel mondo dello spettacolo e della vita sociale e culturale della città. Nel tempo l’edificio si è progressivamente ridotto ed ha perso quell’assetto tipico dei teatri di fine Ottocento/primi Novecento del secolo scorso.
Nel 1928 è stato ampliato e sistemato su progetto degli architetti Galizzi e Galimberti nonché abbellito con una decorazione dal severo gusto artistico, così da rendere il Teatro degno del nuovo centro cittadino. Nel 1965 si è messa nuovamente in atto una ristrutturazione massiccia, ad opera dell’architetto Alziro Bergonzo, che lo ha trasformato definitivamente in una grande e modernissima sala cinematografica (del vecchio e glorioso teatro resta ormai praticamente la facciata verso Largo Belotti), diventando una sala da Prime Visioni (‘Rocky’ e ‘Jesus Christ Superstar’ vi tennero il cartellone per settimane) ma tenendo anche qualche spettacolo musicale o di cabaret teatrale.
Dopo aver attraversato un periodo di decadenza e dopo ripetuti tentativi di riqualificare il locale con programmazioni cinematografiche di livello, nell’estate del 2005 il cinema Nuovo ha chiuso definitivamente i battenti.
POLITEAMA NOVELLI
Un paio d’anni prima dell’inaugurazione del Nuovo, e cioè nel 1899, sempre per merito di quell’Antonio Dolci (figlio di Luigi) già interessato alla ristrutturazione del divenuto teatro Rossi, nacque il Politeama Novelli, edificato all’inizio del “viale della stazione”, nel giardino Codali, acquisito dal Dolci. A inaugurarlo, la sera del 16 novembre, fu invitato Ermete Novelli, che mise in scena un magistrale “Papà Lebonnard”, con la sua compagnia al completo.
Come ricorda Luigi Pelandi nella sua Bergamo scomparsa, “fu una bazza per la cassetta e un trionfo per il grande attore, già abituato del resto a imponenti ovazioni dei teatri italiani ed esteri per quella sua mimica ampollosamente espressiva eppur tanto spontanea, passante dalle note ilari e bonarie a quelle della più commovente drammaticità”. Come poi usava a quel tempo, il Politeama Novelli ospitò anche diverse conferenze. Una in particolare aprì sui giornali un dibattito acceso: l’aveva tenuta l’avvocato Federico Maironi “contro la convenzione per la trasformazione dei tram cittadini”. Gli oratori erano molto contesi dai teatri, che a Bergamo proprio non mancavano (10).
Il Politeama, nei pressi dell’attuale via Novelli, era sorto riadattando la grande e singolare serra di un giardino preesistente, che apparteneva al floricoltore Codali. Come mostrato dall’immagine sottostante, vi era anche un laghetto, alimentato dalla roggia Ponte Perduto, che d’’estate fungeva da “piscina”, rigorosamente riservata alla popolazione maschile e affittata a 10 centesimi, mentre d’inverno lo specchio d’acqua ghiacciava diventando pista da pattinaggio e rifornendo ghiaccio per uso domestico. La serra fu poi trasformata in teatro.
Nel 1903, Nicolò Rezzara propose di edificare sull’area del giardino Codali la Casa del Popolo (attuale sede de L’Eco di Bergamo). Il teatro ebbe dunque vita brevissima: fu abbattuto nel 1904 e la Casa del Popolo (oggi conosciuta come Palazzo Rezzara) si inaugurò l’8 maggio 1908, nella vasta area oggi compresa tra viale Papa Giovanni XXII, via Paleocapa e via Novelli.
Era il periodo in cui l’area circostante la Stazione andava acquisendo la fisionomia che conosciamo, con la via Paleocapa già delineata e con in testa Palazzo Dolci e Casa Paleni in viale Roma, con la sua ricca facciata liberty.
Nella Casa del Popolo, oltre alle istituzioni cattoliche erano presenti anche un albergo, un ristorante, negozi, appartamenti, la redazione de “L’Eco”, la Banca Piccolo Credito, la cappella, sale di lettura, biliardo e il teatro Rubini. L’allora Viale della Stazione fu ribattezzato viale Roma – denominazione che mantiene anche oggi nel tratto tra Porta Nuova e via Petrarca -, mentre il tratto tra la stazione e Porta Nuova fu intitolato a Papa Giovanni XXIII.
TEATRO RUBINI
Costruito all’interno della Casa del Popolo, con ingresso in via Paleocapa, fu inaugurato la sera del 16 novembre 1907 con l’opera “Poliuto” di Donizetti, per restare in attività per quasi 80 anni, guadagnando un posto d’onore nell’immaginario collettivo della città.
In teatro approdarono spettacoli d’ogni tipo, dalla prosa al varietà, dalla commedia dialettale ai concerti, ma un mese dopo l’inaugurazione, il Rubini accolse anche il cinematografo, che fu, sin dall’inizio, l’attività più sistematica, risultando da questo punto di vista, in certi anni, il locale più attivo della città.
Fu rinnovato nel 1954, aumentandone la capienza e cancellandone l’impronta stilistica originaria e nel 1974, quando divenne “Rubini 2000” e – ahinoi – nel 1987, data anche la crisi delle sale cinematografiche, venne sostituito dal Centro Congressi Giovanni XXIII.
Con i suoi 1.500 posti a sedere fra platea e galleria, aveva offerto per decenni film per famiglie, le anteprime dei western di Sergio Leone e tutti i cartoni animati di Disney.
Con il nome di Rubini 2000 divenne frequentatissimo negli anni Settanta anche per una serie di importanti concerti, come la prima uscita ufficiale della Premiata Forneria Marconi in veste di supporto dei Procol Harum. Vi si esibirono inoltre gli Area, il Banco del Mutuo Soccorso, Arthur Brown, i Pooh e molti altri.
TEATRO DUSE
Fra tutti il più amato e compianto. Intitolato alla grande Eleonora Duse, nacque nel travagliato clima del Ventennio grazie a una sottoscrizione fra amici facoltosi, per soddisfare il bisogno di un nuovo teatro dove poter rappresentare opere liriche e lavori drammatici; un teatro che avesse minori pretese rispetto al massimo della città – il Donizetti – e maggiori agi rispetto al Nuovo.
Affacciato su Piazza Garibaldi, il bel teatro dalla pregevole facciata in stile neoclassico vantava la bellezza di 2.500 posti a sedere e funzionava egregiamente sia da cinema che da teatro. Ospitò le più varie attività: dall’opera seria ai concerti, dalla prosa all’avanspettacolo, dai dibattiti politici e culturali ad esibizioni circensi e incontri di pugilato, da pregevoli concerti jazz a concerti di musica leggera, intrecciando la propria storia con quella personale di molti bergamaschi. Nonostante l’acustica fosse il suo tallone d’Achille, il Duse fu molto più di un teatro: fu per decenni un punto di svago, di ritrovo, di socializzazione, regalando a molti bergamaschi serate memorabili.
Calcarono il suo palcoscenico nomi importanti e sostituì degnamente il Donizetti quando chiuse per lavori. Indimenticabile anche il Teatro di Varietà, con ballerine e truccatissime soubrette – allora popolarmente chiamate le donnine – ma anche le Compagnie di Rivista di Totò, Wanda Osiris, Macario, Walter Chiari, Renato Rascel, Josephine Baker, Paola Borboni, Dario Fo.
Dopo oltre quarant’anni di onorata attività, nel 1968 fu demolito per essere sostituito da un edificio di architettura “Brutalista”, con parcheggio aereo e un cinema sotterraneo, mentre il monumento di Garibaldi continuava a fare bella mostra di sé nel bel mezzo della rotonda, ormai assediato dalle auto e declassato a spartitraffico.
All’alba della sua demolizione, un cartello manoscritto affisso da un ignoto all’ingresso del Teatro, recitava: “Da domani, tra una diffusa sensazione di malinconia, si darà inizio all’opera di rimozione delle strutture del palcoscenico e, successivamente, si arriverà alla vera e propria demolizione dell’edificio: Bocca amara per la Città. Non è che gli altri teatri cittadini stiano meglio, anzi! Certo, non sono in via di demolizione, ma… In fondo anche questi cambiamenti sono il sintomo di una mutazione culturale e di costume che la Città sta vivendo. Al suo posto sorgerà un moderno edificio per residenze ed uffici ed un parcheggio: l’edificio, destinato a morire, e con esso il Teatro, oggi si può ancora guardare e fissarlo nella mente, a futura memoria, infatti, in questi giorni è meta di curiosi e di nostalgici… e pensare che solo domenica sera, due giorni fa, il Teatro era ancora pieno di spettatori i quali, alla fine dell’ultimo spettacolo, hanno salutato il loro Teatro con un fragoroso e prolungato applauso, e la malinconia: la si poteva toccare con mano” (11).
La storia di questo teatro è minuziosamente raccontata QUI.
TEATRO AUGUSTEO
In una laterale di via Borgo Palazzo, in via Anghinelli 23, c’era era un piccolo teatro, che dopo un abbandono durato oltre 40 anni, nel 2007 è stato demolito per costruire abitazioni di lusso. Vi si accedeva da un portoncino di Borgo Palazzo, al numero 28.
Un vecchio numero dell’ “Eco” riporta che la costruzione della palazzina che ospitava il teatro fu affidata all’impresa Crialesi da un certo Gentili e a giugno ’23 la ditta Camillo Roncelli fu “incaricata di eseguire gli importanti impianti elettrici di proiezione, illuminazione, ventilazione, aspirazione, effetti scenici nel nuovo grande Teatro Augusteo”.
Aggiunge che “per inaugurare il nuovo teatro l’impresario Rumor, incaricato della gestione, riuscì a portare a Bergamo addirittura uno spettacolo de Les Folies Bergères.
E al taglio del nastro, il sabato 8 settembre 1923, c’era anche una celebrità dell’epoca”, il mitico nuotatore Enrico Tiraboschi, che aveva da poco compiuto la la memorabile traversata della Manica da Calais a Dover in 16 ore e 25 minuti, “tanto da meritarsi una copertina della Domenica del Corriere disegnata da Beltrame”.
Essendo un teatrino di quartiere ospitò gli intrattenimenti più vari: oltre a quelli “classici” (prosa, varietà ed anche proiezioni cinematografiche), organizzò anche spettacoli destinati ai militari così come diversi eventi sportivi, come gli incontri di pugilato che si disputarono nel maggio del ’25, cui parteciparono “molti tra i più forti pugilatori italiani, primo fra tutti l’aspirante al titolo europeo, Bosisio”. Quella della boxe nei teatri era una tradizione ereditata dal teatro Nuovo (dove il primo incontro in assoluto risaliva al 1913) e poi trasmessa al Duse, a partire dal novembre del 1928.
Il teatro restò in attività per una ventina d’anni, poi – sembrerebbe -, allo scoppio della Seconda guerra mondiale la sala venne requisita per ricavarne una mensa. Finita la guerra “l’immobile fu venduto e utilizzato come sala per l’esposizione di mobili, infine nei primi anni 2000 passò a un’immobiliare e fu inserito nel progetto di ristrutturazione del palazzo, con la realizzazione di unità abitative” (12).
Il palazzo dell’insegna esiste ancora, pur senza il monumentale balcone. Come tanti altri teatrini scomparsi, anche questo ha animato per un certo periodo la vita di un borgo, in una città che traboccava di vita.
IL TEATRO MINERVA, UN TEATRINO (SCOMPARSO) PRESSO LA STAZIONE
Quella sottostante è una rara immagine del Teatro Minerva del dopolavoro Ferrovieri, presso la Stazione Ferroviaria di Bergamo, risalente al 1938. Sappiamo, grazie ad alcune testimonianze, che il locale era già attivo almeno dal 1928.
Quella del Minerva è stata anche una delle due sale da ballo esistenti a Bergamo nel dopoguerra (l’altra doveva trovarsi in Borgo Santa Caterina, forse chiamata Cristallo), vocazione proseguita negli anni Sessanta, quando il locale, che era noto come Piper, era assai frequentato (sicuramente esistente negli anni 66/67).
Nel corso del tempo il teatrino ospitò spettacoli di vario genere: dagli incontri di pugilato a spettacoli di varietà e di magia, e nel biennio ‘57/’58 vi si tenne uno spettacolo ispirato al “Musichiere”. In seguito vi fu un periodo in cui la sala fu utilizzata per giocare con le “Policar”, macchinine elettriche che correvano sulle piste con il pattino.
Ma quello che gli adulti di oggi ricordano con particolare emozione era lo spettacolo organizzato in occasione dell’Epifania per i figli dei ferrovieri, dopo il quale i bimbi ricevevano un regalo.
Il teatro si trovava nel lungo edificio posto a destra rispetto la facciata della Stazione; visto dal lato dei binari, costeggiava molti metri del binario tronco, quello per Lecco. All’interno c’era anche una piccola mensa e bar per i dipendenti.
IL TEATRO GREPPI (ORATORIO DELL’IMMACOLATA)
Merita di essere ricordato anche lo splendido e glorioso Teatro Greppi (ancora esistente), fondato nel 1903 nell’Oratorio dell’Immacolata – oggi Sala Greppi -, con la sua struttura decorativa di primo novecento, il suo affresco di gusto settecentesco che la avvolge tutta e la impreziosisce, la sua loggia e il suo palcoscenico profondo. Il teatro sopravvive nella memoria di tutti gli abitanti del borgo che abbiano frequentato l’oratorio da ragazzi, se non più per la proposta di rappresentazioni da parte delle due compagnie esistenti, per l’uso del teatro come sala cinematografica fino alla fine degli anni ‘70 del ‘900. L’Associazione Sala Greppi, dal 1981, ha poi gestito la sala per proposte musicali di altissimo livello, curando il mantenersi della sala stessa in modo tale da essere vissuta.
RINATO A NUOVA VITA: IL S. ANDREA IN CITTA’ ALTA
Il Teatro S. Andrea è stato ricavato nella cripta della chiesa omonima, in via Porta Dipinta, costruita fra il 1840 e il 1847 sulla base di un edificio dell’ottavo secolo d.C. L’ambiente ipogeo fu destinato per circa un secolo a conservare opere provenienti da altri luoghi di culto, oltre che da quello preesistente. Una prima versione del teatro fu realizzata per volontà del parroco Antonio Galizzi che, nel 1951, fece realizzare nella cripta un cineteatro completo di palco, quinte, sipario più una cabina per proiezioni cinematografiche. Nel tempo, l’attività cine-teatrale venne tuttavia meno e lo spazio fu destinato ad altri usi, principalmente oratorio e spazio sportivo, fino alla sua chiusura negli anni ‘90. Solo nel 2018 l’ambiente sotterraneo della chiesa è tornato ad essere a tutti gli effetti un teatro. La sala può ospitare fino a 100 persone e si sviluppa secondo un impianto unico: all’abside e al presbiterio della chiesa sovrastante corrisponde la platea, mentre sotto la navata si sviluppano sipario e palco. Ai lati del sipario campeggiano decorazioni raffiguranti le maschere di Arlecchino e Pulcinella, realizzate da Albano Pressato negli anni Cinquanta. Dal 2020 si è unito all’arredamento un altro pezzo d’eccezione: il pianoforte gran coda Steinway del 1932, già appartenuto a Giorgio Zaccarelli e donato al teatro dai figli, e posizionato nella parte absidale.
Siamo sicuri che questo lungo elenco potrebbe continuare …e chissà cos’altro avrebbe da raccontare.
NOTE
(1) Pilade Frattini, Renato Ravanelli, “Il Novecento a Bergamo – Cronache di un secolo”. A cura di Ornella Bramani. Vol. II, UTET, Anno 2013.
(2) Pilade Frattini, Renato Ravanelli, “Il Novecento a Bergamo – Cronache di un secolo”, Ibidem.
(3) Luigi Pelandi assicura che il 14 agosto del 1881, le “Notizie Patrie” segnalavano la presenza di una baracca stabile, il Teatro delle Varietà. Aggiunge inoltre che nella Piazza Baroni non esistevano edifici in muratura ad uso teatri prima del 1880 (Luigi Pelandi, “Attraverso le vie di Bergamo scomparsa II – La Strada Ferdinandea”. Collana di Studi Bergamaschi, a cura della Banca Popolare di Bergamo. Poligrafiche Bolis, Dicembre 1963).
(4) Il Pelandi trasse tale notizia da Elia Dolci, Spettacoli lirici nei teatri di Bergamo – 1784-1894 (Luigi Pelandi, “Attraverso le vie di Bergamo scomparsa II – La Strada Ferdinandea”, Ibidem).
(5) L’ultima comparsa risale il 28 gennaio 1894, allorché in questo luogo di ritrovo si tenne un grande congresso socialista per la discussione ed approvazione dello Statuto della Confederazione Regionale appena allora costituita. Vi avevano aderito 77 società sopra le 107 costituite in Lombardia (Luigi Pelandi, “Attraverso le vie di Bergamo scomparsa II – La Strada Ferdinandea”, Ibidem).
(6) Luigi Pelandi, “Attraverso le vie di Bergamo scomparsa II – La Strada Ferdinandea”, Ibidem).
(7) Comune di Bergamo, Piano di Recupero ex Teatro Cinema Nuovo. Relazione illustrativa generale. Ottobre 2018.
(8) Luigi Pelandi, “Attraverso le vie di Bergamo scomparsa II – La Strada Ferdinandea”, Ibidem.
(9) Luigi Pelandi, “La Rivista di Bergamo”, numero di giugno del 1926.
(10) Pilade Frattini, Renato Ravanelli, “Il Novecento a Bergamo – Cronache di un secolo”, Ibidem.
(11) “La nostalgia senza tempo dei cinema a Bergamo negli Anni Ottanta”. L’Eco di Bergamo, 6 maggio 2021.
(12) “Sulle tracce dell’«Augusteo» Il teatro sparito di Borgo Palazzo”. L’Eco di Bergamo, 6 settembre 2016. E’ però scritto ne “Il Novecento a Bergamo” (Op. Cit.) che il teatro “fu chiuso nel 1933 e adibito a magazzino di mobili”.
Pilade Frattini, Renato Ravanelli, “Il Novecento a Bergamo – Cronache di un secolo”. A cura di Ornella Bramani. Vol. II, UTET, Anno 2013.
Luigi Pelandi, “Attraverso le vie di Bergamo scomparsa II – La Strada Ferdinandea”. Collana di Studi Bergamaschi, a cura della Banca Popolare di Bergamo. Poligrafiche Bolis, Dicembre 1963.
Domenico Lucchetti, “Bergamo nelle vecchie fotografie”. Grafica Gutenberg, 1976.