Il Teatro della Società (questo il suo nome originario) nacque sull’onda della competizione tra la Città e i Borghi, come iniziativa secessionista da parte della costola aristocratica del Teatro Riccardi, con il preciso intento di restituire alla Città quella supremazia che il nuovo teatro le insidiava.
L’ANTEFATTO
Nel 1790, per finanziare la costruzione del “suo” teatro, nella Città Bassa, il costruttore Bortolo Riccardi fu costretto (con atto notarile del 30 giugno 1790) a vendere la proprietà dei palchi, esigendo che il canone normalmente pagato per il solo periodo della Fiera, fosse corrisposto tutto l’anno. In cambio assicurava ai palchettisti che del teatro ne avrebbero beneficiato in futuro. Gli acquirenti del tempo erano i membri delle grandi famiglie nobili, talvolta dell’alta borghesia. Ma arrivò il momento in cui, stanchi di pagare per le stagioni fuori dalla fiera, il Bortolo dovette scontrarsi con le loro pretese : nel 1802 ne scaturì un contenzioso, che portò molte famiglie nobili ad abbandonare il progetto del Riccardi e ad unirsi per erigere in autonomia un proprio teatro in Città Alta, a pochi passi dalle loro dimore. Promotori dell’iniziativa, il conte Luigi Vailetti di Salvagno e 53 esponenti delle più importanti casate nobiliari della città, una ventina almeno dei quali, proprietarî di palchi al Riccardi.
Vi erano anche ragioni socio-politiche che stavano favorendo questo processo: il territorio orobico era appena entrato a far parte della seconda Repubblica Cisalpina, e con la dominazione napoleonica, superate le ricorrenti contese interne al cosiddetto “corpo nobiliare” per il possesso dei palchetti, i tempi erano maturi per portare a compimento il progetto di un teatro a conduzione collettiva, “il primo nella storia della città, per la quale tale progetto era rimasto per quasi un secolo una semplice chimera” (1).
Presto la Città Alta sarebbe rimasta senza un edificio consono agli spettacoli del Carnevale, perché il Cerri, l’unico teatro esistente sul colle – una struttura lignea provvisionale eretta nella Sala Maggiore del Palazzo della Ragione – di lì a qualche anno avrebbe dovuto essere smantellato (2). Dalla fine del Settecento infatti, era andata consolidandosi, all’interno dei bastioni, la consuetudine di assicurare l’intrattenimento carnevalesco per i nobili, i patrizi e i borghesi della Città, che prendeva avvio il 26 dicembre di ogni anno: la Città non poteva certo rinunciare a un suo teatro, che anche a Bergamo, come in altre città italiane nell’Ottocento, era il cuore pulsante dell’attività ricreativa e sociale, oltre che, naturalmente, un luogo di rappresentanza sociale e politica (anche al Sociale passeranno autorità, personaggi noti, star nazionali e internazionali, soprattutto i cantanti d’opera: i veri divi dell’epoca). C’era un altro buon motivo, seppur secondario, per costruire il teatro nel cuore di Città Alta, a un passo da piazza Vecchia: era infatti scomodo scendere, sia pure in carrozza, a Bergamo bassa per assistere a qualche spettacolo teatrale; ancor più scomodo e faticoso poi risalire. E soprattutto, con la pioggia o con la neve era anche pericoloso.
Seguendo la consuetudine, il Teatro della Società fu dunque inaugurato il 26 dicembre 1808, con l’avvio della stagione di Carnevale.
Liti, da allora, per questioni di priorità e di prestigio. Dispute al limite del duello, persino: nelle stagioni di punta, le sale del Sociale e del Riccardi entrarono immediatamente in concorrenza sul terreno dell’opera (tra il 1810 e il 1814), alimentando e rispecchiando al tempo stesso quella situazione di conflitto esistente fra gli abitanti di Città e quelli del Borgo. Tuttavia, sostanzialmente, a parte alcune deroghe, non venne messo in discussione l’avvicendamento gerarchico tra i due teatri: il Carnevale apparteneva al Sociale e ovviamente la Fiera al Riccardi (3) e per assicurarsene, il Sociale fece addirittura in modo che tale tregua venisse imposta d’ufficio (1819), evitando quantomeno la gara operistica nei periodi suddetti (in più limitando la propria offerta concorrenziale al teatro parlato, reputato di rango inferiore), ed evitando quindi un enorme dispendio economico che il Sociale non poteva sostenere.
Il 3 marzo del 1803 si procedette alla stesura di un documento a cura del notaio Tiraboschi, nulla fu lasciato al caso e tutto fu messo su carta bollata. Ciascun sottoscrittore depositò la somma di cinquemila lire: quota che, moltiplicata per 54 soci, arrivava a 270.000 lire, da pagarsi in due rate.
Una deputazione teatrale eletta dalla neonata società si occupò della scelta del luogo, dell’acquisizione e predisposizione del terreno e della commissione di un progetto all’architetto prescelto (Pollack, che lo data 7 dicembre 1803); progetto che prevedeva tre ordini di palchi e un loggione; ci sarebbero stati anche una biglietteria, una sala da caffè, una stanza delle riunioni dei soci, una o due sale di Ridotto utili all’accoglienza del pubblico nelle pause degli spettacoli.
Per costruire il teatro, fu ricavato un sito apposito nell’edificatissima Città alta, perseguendo con determinazione una frettolosa politica di acquisti, demolizioni dei fabbricati preesistenti e costruzioni, non sempre suggellata dalle necessarie autorizzazioni governative.
Pochi mesi dopo, e cioè alla fine del 1804, iniziarono i lavori, che si conclusero nel 1808 sotto l’egida di Antonio Bottani, il quale aveva sostituito il Pollack dopo la sua morte, avvenuta nel 1806. Il 16 aprile 1808 vi fu la stesura e l’approvazione del regolamento per l’estrazione dei palchi, effettuata il 30 luglio; il 26 dicembre 1808, vi fu l’inaugurazione del Teatro della Società, il primo teatro di Città Alta costruito interamente in muratura.
Il progetto per il nuovo teatro era stato dunque affidato a Leopoldo Pollack che, tra gli architetti più celebri del periodo Neoclassico, era già esperto di costruzioni teatrali, forte sia del bagaglio accumulato con Piermarini (il progettista della Scala di Milano), di cui era stato allievo, e sia per la sua esperienza diretta (progetto per il Teatro di Vienna, dei Filodrammatici a Milano). Era inoltre ben conosciuto a Bergamo per aver realizzato il palazzo Agosti Grumelli di via Salvecchio e Ia villa Pesenti Agliardi di Sombreno (committente Pietro Pesenti, che aveva ricoperto, tra il febbraio e l’aprile del 1798, la carica di Presidente dell’Amministrazione del Dipartimento del Serio, la maggior carica politica locale). La scelta di un progettista così raffinato e prestigioso, era indicativa di quanto la competizione con il “Riccardi” si palesasse, oltre che sul piano musicale, anche su quello architettonico.
Il 22 maggio 1808 venne stilato lo Statuto della Società. L’assegnazione dei palchi fu effettuata, come detto, il 30 luglio 1808. Palchi che appartenevano ai 54 nobili bergamaschi che si erano associati per costruire il Teatro, e ai quali vennero assegnati attraverso un sorteggio, contrariamente a quanto avvenuto al Teatro Riccardi: una scelta frutto delle correnti repubblicane giunte a Bergamo con i francesi a fine Settecento dopo la Rivoluzione. Qualora la posizione estratta per il palco di I o II ordine non si fosse ritenuta soddisfacente, si sarebbe potuto optare per un palco di III fila, o per uno rifiutato da altri in I e II ordine.
L’INAUGURAZIONE
L’inaugurazione ufficiale avvenne il 26 dicembre 1808 con un’opera d’eccezione per quei tempi: Ippolita regina delle Amazzoni, commissionata appositamente a Stefano Pavesi; direttore d’orchestra e primo violino fu Antonio Capuzzi accompagnato da un ottimo cast d’interpreti, tra cui il celebre soprano Adelaide Malanotte e il grande tenore bergamasco Domenico Donzelli.
L’avvenimento ebbe un grande successo di pubblico e registrò il tutto esaurito, fatto rilevante considerando che agli inizi dell’Ottocento Bergamo contava circa 30.000 abitanti ed il nuovo teatro era, per capienza, uno dei maggiori d’Italia.
Qualche giorno dopo sarebbe stata la volta di Ginevra di Scozia di Giovanni Simone Mayr. Un bel cartellone che, naturalmente, alimentava la rivalità con il Teatro Riccardi.
Sia Ippolita regina delle Amazzoni che Alfredo il Grande di Mayr (quest’ultima un’opera del 1820), furono commissionati dal Sociale, prestigio non comune ad altri teatri di pari livello nel corso dell’Ottocento.
A memoria di quella serata resta ancora un manifesto con decreto prefettizio emesso per l’occasione, in cui si ordinava che le carrozze, sia provenienti dai borghi che da Città Alta, compissero un percorso ben preciso per evitare ingorghi. Si decise inoltre che il portico del Palazzo della Ragione restasse a disposizione dei mezzi per la sosta temporanea fino a fine spettacolo. Quella sera centinaia di candele misero in risalto le decorazioni.
UN LENTO MA INESORABILE DECLINO
Dopo i primi anni di brillante attività, arrivarono periodi difficili. Tutto si complicò quando nel 1856, a causa delle difficoltà economiche dovute alle vicende belliche e politiche di quegli anni, il Comune di Bergamo decise di tagliare un contributo annuale utile al sostentamento del teatro (la famosa dote). Realizzare gli spettacoli era, infatti, oneroso e le sole quote dei proprietari di palco non bastavano. Cominciò dunque un lento e inesorabile declino, che costrinse il teatro a ripiegare sulla prosa (il teatro parlato era reputato di rango inferiore), o su eventi di secondaria importanza (già nel 1864 si tenne solo qualche concerto di studenti del Conservatorio di Milano). Il tutto però, nonostante le sporadiche aperture dell’ultimo ventennio, non impedì al Sociale di mettere in campo qualche rappresentazione operistica di grande rilievo.
Verso la fine dell’Ottocento, le difficoltà del Sociale erano ormai divenute l’emblema di quelle della Città Alta. Già durante gli anni austriaci la costruzione dei Propilei di Porta Nuova (1837) e della strada Ferdinandea (1838), ma soprattutto della stazione e del relativo collegamento ferroviario con Milano (1857), costituivano altrettante tappe dell’emancipazione della Città Bassa, coronate nel 1874 col trasferimento del Municipio.
E nonostante l’apertura della funicolare (1887), avesse migliorato i rapporti tra le due parti di città, le fortune del Sociale continuarono ugualmente a declinare. Emblematico in questo senso fu la sostanziale marginalità del Sociale alle celebrazioni donizettiane del 1897, che ebbero invece nel Riccardi e Città Bassa centro e sfondo.
Anche l’apertura intorno al 1890 di due nuovi locali nel centro della città, il Rossi e il Givoli, che offrivano spettacoli definiti dagli intenditori del tempo “profanazioni artistiche”, ma di facile successo, certamente non giovò alle fortune del Sociale.
Verso la fine dell’800 e nel primo decennio del secolo successivo la sala (sottoposta a restauri nel 1902, visibili nella stagione 1903; poi nel 1907, per il 1908) aprì anche a generi nuovi come l’operetta (1898, dal 1908), o addirittura a esibizioni di moderna tecnologia quali il grammofono (1898) e il cinematografo (dal 1908) che, se in altre condizioni potrebbero essere segnali d’apertura alle novità, in quel contesto di vita sempre più difficoltosa appaiono come ripieghi su repertorî meno impegnativi finanziariamente.
Si può dire che il Sociale fu attivo, seppur con alterne fortune, fino agli anni Venti del Novecento: a parte qualche glorioso sussulto nelle stagioni 1915, 1921, ’22 e ’24, le aperture del Sociale si fecero sempre più sporadiche: l’ultimo allestimento operistico si tenne nel 1929, con Il barbiere di Siviglia di Rossini, mentre gli ultimi spettacoli risalgono al 1932 (anno della chiusura definitiva), dopodiché venne abbandonato a un inesorabile degrado, una sorta di riflesso del declino di Città alta come centro propulsore della vita sociale e culturale di Bergamo.
La storia successiva fu segnata soltanto da progetti di demolizione, avventuristiche intenzioni di riuso e continui passaggi di proprietà (4). Questo mentre l’abbandono e il degrado si facevano sempre più preoccupanti, almeno fino all’acquisizione dell’immobile da parte del Comune di Bergamo (1976) e ai lavori di manutenzione straordinaria e messa in sicurezza compiuti tra il 1978 e il 1981 (spostata la mensa universitaria in precedenza collocata al primo piano, venne eseguito il rifacimento del tetto, ormai prossimo al crollo, ed in seguito il restauro delle facciate esterne e di parte dei locali interni).
Da allora, lo spazio ha ospitato soprattutto esposizioni (mostre d’arte e varie manifestazioni culturali), sino all’inizio dell’intervento di restauro, intrapreso per iniziativa congiunta del Comune e della Sovrintendenza a partire dal 2006.
Grazie al recupero dell’edificio alla destinazione originaria (2006-2009) il teatro è rinato, ospitando lirica, prosa, festival jazz ed altri spettacoli. La sua vitalità attesta oggi una nuova centralità di Città Alta, e l’ormai raggiunta integrazione di entrambe le entità cittadine: la città antica e i borghi cresciuti alle sue falde.
LE ATTIVITA’ DEL SOCIALE NELL’OTTOCENTO
Sull’onda della competizione con il Teatro Riccardi di Città bassa, il Sociale fu memorabile sede di rappresentazioni operistiche di autori di grande levatura musicale, quali Rossini, Verdi, Ricci, Ponchielli, Mayr e del suo allievo Gaetano Donizetti, sovente accompagnate da interpreti di fama (a tal proposito si ricordano le buone stagioni tra il 1809 e il 1840).
Importanti furono le rappresentazioni di opere inedite per Bergamo: nel primo anno di attività del Sociale, Mayr con l’Oratorio di Haydn Die Schöpfung, del 1798; nel 1860, Pacini con Stella di Napoli.
La sala del Sociale condivise inoltre col teatro Filarmonico di Verona l’onore di tenere a battesimo la ‘prima’ italiana dei Masnadieri di Verdi, dati simultaneamente in entrambe le sale a partire dal 26 dicembre 1847, un privilegio concesso alla ‘piazza’ bergamasca, in cui si pensa abbia giocato un qualche ruolo Alfredo Piatti (che non solo aveva preso parte alla ‘prima’ londinese dell’opera, il 22 luglio 1847, ma per il quale Verdi aveva concepito il Preludio come pagina per violoncello concertante).
Anche i balletti e la prosa ricoprirono un ruolo rilevante grazie alla presenza di importanti compagnie, tra gli spettacoli di teatro parlato, va menzionata (1816) la farsa del grande Farinelli, L’effetto naturale.
Grande figura di spicco nel corso di quegli anni al Sociale, fu il grande compositore bavarese Johann Simon Mayr, coinvolto fin dalla stagione inaugurale nelle attività del Sociale, che fece da cornice a un’iniziativa straordinaria: l’esecuzione, da parte di Mayr, di una partitura molto impegnativa, il già citato Oratorio di Haydn Die Schöpfung (1798), nella traduzione italiana di Giuseppe Carpani (La creazione del mondo), iniziativa che ebbe risvolti importanti per la realtà musicale bergamasca di quegli anni.
Si trattava di una delle sue prime esecuzioni italiane, se non della prima integrale; era accompagnata da un vero e proprio ‘programma di sala’, così come lo intendiamo oggi; vedeva la collaborazione tra professionisti, l’orchestra, (più o meno la medesima delle funzioni più importanti di S. Maria Maggiore) e studenti della neonata scuola di musica fondata e diretta da Mayr, e aperta nel 1806, compresi i ragazzi del Conservatorio, tra i quali Gaetano Donizetti. Con la sua iniziativa, Mayr si proponeva finalità didattiche (era un’ opera dotata di grande valore formativo) e filantropiche (la costituzione di un fondo di solidarietà per musicisti, il Pio Istituto Musicale), nell’ottica dell’ex allievo del collegio gesuitico di Ingolstadt e illuminato propugnatore di ideali educativi, che nel Regno napoleonico d’Italia trovavano terreno fertile.
Fra le altre iniziative vi fu anche la riproposta di un titolo recente ma ormai ‘classico’ del suo catalogo come Ginevra di Scozia, che Mayr aveva riveduto con la sostituzione o l’aggiunta di nuovi ‘numeri’.
Anche negli anni seguenti Mayr partecipò direttamente ad alcune stagioni carnevalesche, come accadde, ad esempio, nel 1819, quando la sua Lodoiska fu ripresa arricchita di nuovi brani da lui scritti per la circostanza. L’anno dopo debuttava addirittura una sua opera nuova appositamente commissionata, Alfredo il Grande re degli Anglo-Sassoni, per la quale nel febbraio 1820 riceveva i complimenti dell’amica Adelaide Malanotte.
Tra gli ospiti illustri va ricordato anche Niccolò Paganini, che calcò il palco del teatro per ben tre volte: funambolico, geniale e sorprendente con il suo violino, regalò al Sociale un grande spettacolo. Nel 1876 vi si esibirono anche Le dame Viennesi, un’orchestra di sole donne che richiamò a teatro molte signore eleganti incuriosite dall’evento.
IL PROGETTO DEL SOCIALE, UN TEATRO ALL’ITALIANA
Pollack poté solo in parte adottare le nuove strategie che si andavano diffondendo in quegli anni: impossibilitato dalla strettezza di via Corsarola a corredare l’edificio di facciata monumentale, portico, colonnato o quant’altro avrebbe permesso di identificare un teatro a colpo d’occhio – come fu per la Scala di Piermarini – egli dovette accontentarsi di una facciata elegante sì, ma senza soluzione di continuità con i palazzi limitrofi. Solo gli elementi decorativi, attinenti al mondo delle arti teatrali, attestavano la sua natura di luogo deputato a pubblici spettacoli.
Nonostante ciò, col suo prospetto elegante e decorato, il Sociale si presentava all’esterno con tratti di dignità ben diversi dal Riccardi che, visto da fuori, dava l’idea di un pachiderma goffo e sgraziato. Inoltre, rispetto al Teatro alla Scala, alla Canobbiana di Milano, al Teatro di Monza e al Riccardi (attuale Teatro Donizetti) era il quarto per grandezza in Lombardia.
L’INTERNO
Pollack decise per un teatro all’italiana, con più ordini di palchi, che realizzava l’esigenza di visibilità pubblica delle classi aristocratiche e dei loro rapporti gerarchici.
Quanto all’impianto della platea, Pollack scelse di non ripetere la pianta a forma di cavallo dominante a quel tempo, optando invece per una più ricercata ed elegante forma ovale probabilmente di ispirazione francese. L’abbinamento di questa forma con lo sviluppo verticale dei palchi costituisce forse l’aspetto più originale del progetto.
Ottima l’acustica, grazie anche alle strutture costruite totalmente in legno.
I PALCHI
Gli 82 palchi sono distribuiti su tre ordini sovrapposti, sui quali insiste un quarto ordine di loggione.
Pollack progettò i parapetti lignei dei palchi secondo una linea continua, come Piermarini aveva fatto per la Scala; essa dà risalto alla dimensione orizzontale degli ordini di palchi (rispetto a quella verticale evidente invece nella sezionatura a balconcino derivata dal modello del Bibiena), e conferisce alla forma complessiva della sala una armoniosa uniformità di impronta classica.
I parapetti lignei erano ricchi di decorazioni policrome, spesso sgargianti, come i colori delle pareti interne ornate talvolta anche con finti marmi, e in contrasto con i materiali poveri della pavimentazioni e delle volte a calce.
L’APPARATO DECORATIVO
Cospicue furono le spese per la decorazione: le decorazioni del soffitto e i parapetti furono eseguite da Vincenzo Bonomini e Francesco Pirovani. Bonomini, decoratore e figurista di talento, aveva anche proposto un progetto per la decorazione della volta, poi non approvato perché gli fu preferita quella a carattere figurativo di Lattanzio Querena, autore anche della medaglia della volta.
Il sipario fu dipinto da Carlo Rota con una veduta di piazza Vecchia e in collaborazione con altri artisti, come Francesco Pirovani e Domenico Minozzi; gli addobbi, sontuosi perché si voleva che la sala fosse una delle migliori esistenti
I RESTAURI DEL 1830
Nel 1830 i fondatori vollero perseguire un progetto di rinnovamento del teatro. L’operazione fu affidata ad Alessandro Sanquirico, celebre scenografo della Scala, che ridipinse sia i fregi dei parapetti dei palchi, che le decorazioni del loggione. La sala, inoltre, fu illuminata da una “ricca lumiera”, una nuova luce che permetteva agli spettatori di vedere meglio le scenografie, i costumi, il trucco degli artisti. Sarebbe così diventato più facile apprezzare il nuovo sipario dipinto da Cesare Maironi Da Ponte, che aveva studiato all’Accademia Carrara, oppure le scene di Luigi Deleidi o Pietro Ronzoni.
I RESTAURI DEL 2006-2009
L’intervento di restauro, completato nel maggio del 2009, ha consegnato alla città un teatro storico completamente recuperato alla sua originaria vocazione teatrale, attraverso un rinnovamento dei luoghi e degli apparati decorativi nonché un consolidamento generale delle strutture.
Direttore dei lavori, nonché progettista del recupero è stato l’Architetto Nicola Berlucchi, che ha improntato l’intero progetto ad un’armonica mediazione tra storico e moderno, con il preciso intento di mantenere le caratteristiche storiche e culturali del Teatro, comprese quindi tutte le decorazioni originali e le funzionalità previste nell’800.
Allo stesso tempo è stato garantito il rispetto delle normative di sicurezza, anche attraverso la realizzazione di nuovi vani scala non visibili dall’interno del teatro, o installando sotto la platea una vasca da 110 mila litri d’acqua come strumento antincendio.
Restituire il Sociale alla sua originaria vocazione teatrale ha significato anche l’allestimento di una moderna macchina scenica, con un nuovo palcoscenico in cui è stata inserita una struttura in acciaio (graticcia) composta da arcate del peso di 35 tonnellate, a rinforzo di quella esistente in legno.
La fossa orchestrale è stata dotata di una piattaforma meccanica elevabile su tre livelli.
Si è proceduto al rifacimento delle pavimentazioni del foyer, al restauro delle pareti, dei soffitti e delle finiture superstiti, e del nuovo portone di accesso.
Si sono attuati il ripristino dei primi tre ordini di palchi (per un totale di circa 550 posti), sezionati mediante nuove pareti divisorie, secondo il disegno originale.
S’è provveduto inoltre al rinforzo dei parapetti lignei dei palchi, cui sono stati apportati discreti ritocchi integrativi mediante un lavoro di ebanisteria, fissaggio e protezione delle decorazioni e ripresa delle lacune.
Anche per i pilastri e i controsoffitti s’è proceduto con un restauro ligneo e pittorico.
Per il quarto ordine, il loggione, è stato previsto il consolidamento statico, al fine di renderlo in futuro, tramite semplici operazioni di completamento, facilmente disponibile all’accesso del pubblico.
Al posto della vecchia cupola, che era crollata a causa delle intemperie, si è optato per una copertura a capriate di legno, che permette un’acustica migliore ed è peraltro più affascinante di un coperchione sul quale avrebbero dovuto correre pitture e decori finti.
Infine, da annoverare la realizzazione degli impianti di riscaldamento e raffreddamento, il rifacimento dell’impianto elettrico e di illuminazione, la predisposizione di adeguati servizi igienici ed infine la realizzazione di tre nuovi livelli di camerini, alla destra del palcoscenico.
Oggi il Teatro Sociale è utilizzato dalla Fondazione Teatro Donizetti per la messinscena di alcuni spettacoli di prosa e di opere liriche e per lo svolgimento di concerti jazz. È, inoltre, la location principale per la rassegna di Altri Percorsi.
NOTE
(1) Spiega Francesca Fantappiè che “Tali discordie, nel caso in cui veniva proposta la realizzazione di un teatro stabile si palesavano regolarmente al momento della distribuzione dei palchetti (…) Il possesso di un palchetto era sinonimo di uno status sociale e le contestazioni relative alla sua assegnazione erano comuni, come dimostra il caso veneziano meglio noto come «guerra dei palchi». Nel corso dei dieci anni in cui il Teatro Cerri “rimase attivo, nuove e più coese istanze sociali portarono al compimento del Teatro Sociale, un teatro a conduzione collettiva” (Francesca Fantappiè, «Per teatri non è Bergamo sito». La società bergamasca e l’organizzazione dei teatri pubblici tra ’600 e ’700. Copyright © 2010 by Fondazione per la Storia Economica e Sociale di Bergamo).
(2) Il Teatro Cerri era staro costruito nella Sala Maggiore del Palazzo della Ragione per sostituire il distrutto Teatro di Cittadella (anch’esso provvisionale) con la riserva che restasse attivo per soli dieci anni: 1797-1807 (Francesca Fantappiè, «Per teatri non è Bergamo sito», Ibidem).
(3) L’attività scenica si distribuiva su periodi precisi, che dalla fine del Settecento coinvolse principalmente due stagioni: quella di Carnevale, che si svolgeva tra dicembre e febbraio, e quella della Fiera, che si svolgeva invece tra agosto e settembre. Per l’esattezza, l’inizio della stagione del Carnevale cadeva il 26 dicembre, per cui ad esempio la dizione ‘carnevale 1810’ significava che i suoi spettacoli potevano principiare a partire dal 26 dicembre 1809.
(4) Nel ‘38 lo acquistò il Partito Nazionale Fascista ma le cose non migliorarono. Il Sociale rischiò più volte di essere abbattuto: ben due progetti proposero di abbattere tutto tranne la parte del foyer e delle sale nobili. Fortunatamente il progetto non si concretizzò; con l’inizio della II Guerra Mondiale non ci furono più fondi a disposizione. Passò poi al Demanio dello Stato, ma la situazione continuò ad essere critica per il teatro: nel 1947 e nel 1961 altri due progetti proposero di trasformarlo in un cinema. Nel 1963 venne comprato dalla Parrocchia del Duomo e nel 1976 dal Comune di Bergamo (www.teatrodonizetti.it).
Riferimenti
Paolo Fabbri, Le due città (tratto da Il Teatro Sociale di Bergamo. Vita e opere, di Luigi Pilon).
Vanni Zanella, Bergamo città, seconda edizione, Azienda Autonoma di Turismo, Bergamo, 1977, pag. 67.
Leopoldo Pollack architetto 1751 – 1806: Le vicende del Teatro Sociale 1803 – 1978, Grafica Gutemberg, Gorle (Bg), 1978, pagg. Da 43 a 44.