Il Teatro Sociale

Il Teatro della Società (questo il suo nome originario) nacque sull’onda della competizione tra la Città e i Borghi, come iniziativa secessionista da parte della costola aristocratica del Teatro Riccardi, con il preciso intento di restituire alla Città quella supremazia che il nuovo teatro le insidiava.

L’ANTEFATTO

Nel 1790, per finanziare la costruzione del “suo” teatro, nella Città Bassa, il costruttore Bortolo Riccardi fu costretto (con atto notarile del 30 giugno 1790) a vendere la proprietà dei palchi, esigendo che il canone normalmente pagato per il solo periodo della Fiera, fosse corrisposto tutto l’anno. In cambio assicurava ai palchettisti che del teatro ne avrebbero beneficiato in futuro. Gli acquirenti del tempo erano i membri delle grandi famiglie nobili, talvolta dell’alta borghesia. Ma arrivò il momento in cui, stanchi di pagare per le stagioni fuori dalla fiera, il Bortolo dovette scontrarsi con le loro pretese : nel 1802 ne scaturì un contenzioso, che portò molte famiglie nobili ad abbandonare il progetto del Riccardi e ad unirsi per erigere in autonomia un proprio teatro in Città Alta, a pochi passi dalle loro dimore. Promotori dell’iniziativa, il conte Luigi Vailetti di Salvagno e 53 esponenti delle più importanti casate nobiliari della città, una ventina almeno dei quali, proprietarî di palchi al Riccardi.

Vi erano anche ragioni socio-politiche che stavano favorendo questo processo: il territorio orobico era appena entrato a far parte della seconda Repubblica Cisalpina, e con la dominazione napoleonica, superate le ricorrenti contese interne al cosiddetto “corpo nobiliare” per il possesso dei palchetti, i tempi erano maturi per portare a compimento il progetto di un teatro a conduzione collettiva, “il primo nella storia della città, per la quale tale progetto era rimasto per quasi un secolo una semplice chimera” (1).

Presto la Città Alta sarebbe rimasta senza un edificio consono agli spettacoli del Carnevale, perché il  Cerri, l’unico teatro esistente sul colle – una struttura lignea provvisionale eretta nella Sala Maggiore del Palazzo della Ragione – di lì a qualche anno avrebbe dovuto essere smantellato (2). Dalla fine del Settecento infatti, era andata consolidandosi, all’interno dei bastioni, la consuetudine di assicurare l’intrattenimento carnevalesco per i nobili, i patrizi e i borghesi della Città, che prendeva avvio il 26 dicembre di ogni anno: la Città non poteva certo rinunciare a un suo teatro, che anche a Bergamo, come in altre città italiane nell’Ottocento, era il cuore pulsante dell’attività ricreativa e sociale, oltre che, naturalmente, un luogo di rappresentanza sociale e politica (anche al Sociale passeranno autorità, personaggi noti, star nazionali e internazionali, soprattutto i cantanti d’opera: i veri divi dell’epoca). C’era un altro buon motivo, seppur secondario, per costruire il teatro nel cuore di Città Alta, a un passo da piazza Vecchia: era infatti scomodo scendere, sia pure in carrozza, a Bergamo bassa per assistere a qualche spettacolo teatrale; ancor più scomodo e faticoso poi risalire. E soprattutto, con la pioggia o con la neve era anche pericoloso.

Tra il 1806 e il 1809, in Bergamo alta venne costruito il Teatro della Società, su progetto di L. Pollack, Di pregevole architettura, questo teatro, sorto per iniziativa di un gruppo di nobili, fu soprattutto un segno dell’ormai consolidata destinazione della Città Alta a residenza della nobiltà terriera. Per molti anni, il Teatro della Società assicurò l’intrattenimento carnevalesco per i nobili, i patrizi e i borghesi della Città, rappresentando per molte generazioni il cuore pulsante della vita artistica e culturale entro le mura

Seguendo la consuetudine, il Teatro della Società fu dunque inaugurato il 26 dicembre 1808, con l’avvio della stagione di Carnevale.

Liti, da allora, per questioni di priorità e di prestigio. Dispute al limite del duello, persino: nelle stagioni di punta, le sale del Sociale e del Riccardi entrarono immediatamente in concorrenza sul terreno dell’opera (tra il 1810 e il 1814), alimentando e rispecchiando al tempo stesso quella situazione di conflitto esistente fra gli abitanti di Città e quelli del Borgo. Tuttavia, sostanzialmente, a parte alcune deroghe, non venne messo in discussione l’avvicendamento gerarchico tra i due teatri: il Carnevale apparteneva al Sociale e ovviamente la Fiera al Riccardi (3) e per assicurarsene, il Sociale fece addirittura in modo che tale tregua venisse imposta d’ufficio (1819), evitando quantomeno la gara operistica nei periodi suddetti (in più limitando la propria offerta concorrenziale al teatro parlato, reputato di rango inferiore), ed evitando quindi un enorme dispendio economico che il Sociale non poteva sostenere.

Il 3 marzo del 1803 si procedette alla stesura di un documento a cura del notaio Tiraboschi, nulla fu lasciato al caso e tutto fu messo su carta bollata. Ciascun sottoscrittore depositò la somma di cinquemila lire: quota che, moltiplicata per 54 soci, arrivava a 270.000 lire, da pagarsi in due rate.

Una deputazione teatrale eletta dalla neonata società si occupò della scelta del luogo, dell’acquisizione e predisposizione del terreno e della commissione di un progetto all’architetto prescelto (Pollack, che lo data 7 dicembre 1803); progetto che prevedeva tre ordini di palchi e un loggione; ci sarebbero stati anche una biglietteria, una sala da caffè, una stanza delle riunioni dei soci, una o due sale di Ridotto utili all’accoglienza del pubblico nelle pause degli spettacoli.

Per costruire il teatro, fu ricavato un sito apposito nell’edificatissima Città alta, perseguendo con determinazione una frettolosa politica di acquisti, demolizioni dei fabbricati preesistenti e costruzioni, non sempre suggellata dalle necessarie autorizzazioni governative.

Il Teatro Sociale (edificio a destra) nacque in un luogo centralissimo di Città Alta, compreso tra la Corsarola (via Colleoni), vicolo Ghiacciaia e l’ex Palazzo del Podestà Veneto, che allora ospitava il Tribunale Giudiziario. L’area occupata da botteghe e vecchie e “malsane” case di proprietà pubblica e privata fu acquistata dai deputati. L’acquisto e l’abbattimento di queste, non privo di irregolarità amministrative, lasciò spazio al nuovo edificio

Pochi mesi dopo, e cioè alla fine del 1804, iniziarono i lavori, che si conclusero nel 1808 sotto l’egida di Antonio Bottani, il quale aveva sostituito il Pollack dopo la sua morte, avvenuta nel 1806. Il 16 aprile 1808 vi fu la stesura e l’approvazione del regolamento per l’estrazione dei palchi, effettuata il 30 luglio; il 26 dicembre 1808, vi fu l’inaugurazione del Teatro della Società, il primo teatro di Città Alta costruito interamente in muratura.

Il progetto per il nuovo teatro era stato dunque affidato a Leopoldo Pollack che, tra gli architetti più celebri del periodo Neoclassico, era già esperto di costruzioni teatrali, forte sia del bagaglio accumulato con Piermarini (il progettista della Scala di Milano), di cui era stato allievo, e sia per la sua esperienza diretta (progetto per il Teatro di Vienna, dei Filodrammatici a Milano). Era inoltre ben conosciuto a Bergamo per aver realizzato il palazzo Agosti Grumelli di via Salvecchio e Ia villa Pesenti Agliardi di Sombreno (committente Pietro Pesenti, che aveva ricoperto, tra il febbraio e l’aprile del 1798, la carica di Presidente dell’Amministrazione del Dipartimento del Serio, la maggior carica politica locale). La scelta di un progettista così raffinato e prestigioso, era indicativa di quanto la competizione con il “Riccardi” si palesasse, oltre che sul piano musicale, anche su quello architettonico.

Il 22 maggio 1808 venne stilato lo Statuto della Società. L’assegnazione dei palchi fu effettuata, come detto, il 30 luglio 1808. Palchi che appartenevano ai 54 nobili bergamaschi che si erano associati per costruire il Teatro, e ai quali vennero assegnati attraverso un sorteggio, contrariamente a quanto avvenuto al Teatro Riccardi: una scelta frutto delle correnti repubblicane giunte a Bergamo con i francesi a fine Settecento dopo la Rivoluzione. Qualora la posizione estratta per il palco di I o II ordine non si fosse ritenuta soddisfacente, si sarebbe potuto optare per un palco di III fila, o per uno rifiutato da altri in I e II ordine.

L’INAUGURAZIONE

L’inaugurazione ufficiale avvenne il 26 dicembre 1808 con un’opera d’eccezione per quei tempi: Ippolita regina delle Amazzoni, commissionata appositamente a Stefano Pavesi; direttore d’orchestra e primo violino fu Antonio Capuzzi accompagnato da un ottimo cast d’interpreti, tra cui il celebre soprano Adelaide Malanotte e il grande tenore bergamasco Domenico Donzelli.

L’avvenimento ebbe un grande successo di pubblico e registrò il tutto esaurito, fatto rilevante considerando che agli inizi dell’Ottocento Bergamo contava circa 30.000 abitanti ed il nuovo teatro era, per capienza, uno dei maggiori d’Italia.

Qualche giorno dopo sarebbe stata la volta di Ginevra di Scozia di Giovanni Simone Mayr. Un bel cartellone che, naturalmente, alimentava la rivalità con il Teatro Riccardi.

Sia Ippolita regina delle Amazzoni che Alfredo il Grande di Mayr (quest’ultima un’opera del 1820), furono commissionati dal Sociale, prestigio non comune ad altri teatri di pari livello nel corso dell’Ottocento.

A memoria di quella serata resta ancora un manifesto con decreto prefettizio emesso per l’occasione, in cui si ordinava che le carrozze, sia provenienti dai borghi che da Città Alta, compissero un percorso ben preciso per evitare ingorghi. Si decise inoltre che il portico del Palazzo della Ragione restasse a disposizione dei mezzi per la sosta temporanea fino a fine spettacolo. Quella sera centinaia di candele misero in risalto le decorazioni.

Nel marzo del 1816 Bergamo ricevette per la prima volta un imperatore, Francesco I d’Austria (reduce da Milano dove si era recato nel dicembre precedente per essere incoronato Re), accompagnato dall’impetratrice Maria Ludovica. I sovrani furono a Bergamo dall’11 al 15 marzo e godettero dell’ospitalità dei marchesi Terzi, nel sontuoso palazzo di Città Alta. La sera del 14 l’imperatore si recò al teatro Sociale ad ascoltare una cantata appositamente scritta da Mayr. Dato che il teatro, così come il “Riccardi”, era sprovvisto di un palco reale (progettato ma mai realizzato), per accogliere l’augusto ospite era stato costruito un palco nuovo di zecca, ricavato dai palchi centrali del II ordine sopra la porta. All’interno era stata messa una grande specchiera. Con spesa notevole, il Sociale si illuminò a giorno. Tutto contribuì ad accogliere con gioia l’imperatore

UN LENTO MA INESORABILE DECLINO

Dopo i primi anni di brillante attività, arrivarono periodi difficili. Tutto si complicò quando nel 1856, a causa delle difficoltà economiche dovute alle vicende belliche e politiche di quegli anni, il Comune di Bergamo decise di tagliare un contributo annuale utile al sostentamento del teatro (la famosa dote). Realizzare gli spettacoli era, infatti, oneroso e le sole quote dei proprietari di palco non bastavano. Cominciò dunque un lento e inesorabile declino, che costrinse il teatro a ripiegare sulla prosa (il teatro parlato era reputato di rango inferiore), o su eventi di secondaria importanza (già nel 1864 si tenne solo qualche concerto di studenti del Conservatorio di Milano). Il tutto però, nonostante le sporadiche aperture dell’ultimo ventennio, non impedì al Sociale di mettere in campo qualche rappresentazione operistica di grande rilievo.

Verso la fine dell’Ottocento, le difficoltà del Sociale erano ormai divenute l’emblema di quelle della Città Alta. Già durante gli anni austriaci la costruzione dei Propilei di Porta Nuova (1837) e della strada Ferdinandea (1838), ma soprattutto della stazione e del relativo collegamento ferroviario con Milano (1857), costituivano altrettante tappe dell’emancipazione della Città Bassa, coronate nel 1874 col trasferimento del Municipio.

Via Torquato Tasso con in primo piano il palazzo della Prefettura (ripresa del 1908). Nell’ultimo quarto dell’800, la Città Bassa si fa sempre più attrattiva, accelerando il trasferimento degli edifici pubblici, costruiti in stile tardo-neoclassico lungo il corso del Sentierone: tra il 1864 e il 1871 vengono edificati il Palazzo della Prefettura e quello della Provincia, mentre nel 1874 il Municipio lascia la sede di Piazza Vecchia per il nuovo centro, che dopo l’Unità d’Italia comincia ad essere popolato da banche. Nel frattempo, anche la stessa nobiltà tende a spostare le proprie abitazioni verso la città bassa, dove, come in via Torquato Tasso, si innalzano nuovi gruppi di edifici. La stessa sorte riguarda la via XX Settembre e tutta l’area a sud delle Muraine

E nonostante l’apertura della funicolare (1887), avesse migliorato i rapporti tra le due parti di città, le fortune del Sociale continuarono ugualmente a declinare. Emblematico in questo senso fu la sostanziale marginalità del Sociale alle celebrazioni donizettiane del 1897, che ebbero invece nel Riccardi e Città Bassa centro e sfondo.

Anche l’apertura intorno al 1890 di due nuovi locali nel centro della città, il Rossi e il Givoli, che offrivano spettacoli definiti dagli intenditori del tempo “profanazioni artistiche”, ma di facile successo, certamente non giovò alle fortune del Sociale.

Verso la fine dell’800 e nel primo decennio del secolo successivo la sala (sottoposta a restauri nel 1902, visibili nella stagione 1903; poi nel 1907, per il 1908) aprì anche a generi nuovi come l’operetta (1898, dal 1908), o addirittura a esibizioni di moderna tecnologia quali il grammofono (1898) e il cinematografo (dal 1908) che, se in altre condizioni potrebbero essere segnali d’apertura alle novità, in quel contesto di vita sempre più difficoltosa appaiono come ripieghi su repertorî meno impegnativi finanziariamente.

Si può dire che il Sociale fu attivo, seppur con alterne fortune, fino agli anni Venti del Novecento: a parte qualche glorioso sussulto nelle stagioni 1915, 1921, ’22 e ’24, le aperture del Sociale si fecero sempre più sporadiche: l’ultimo allestimento operistico si tenne nel 1929, con Il barbiere di Siviglia di Rossini, mentre gli ultimi spettacoli risalgono al 1932 (anno della chiusura definitiva), dopodiché venne abbandonato a un inesorabile degrado, una sorta di riflesso del declino di Città alta come centro propulsore della vita sociale e culturale di Bergamo.

Il Teatro Sociale prima dei lavori di restauro del 2006

La storia successiva fu segnata soltanto da progetti di demolizione, avventuristiche intenzioni di riuso e continui passaggi di proprietà (4). Questo mentre l’abbandono e il degrado si facevano sempre più preoccupanti, almeno fino all’acquisizione dell’immobile da parte del Comune di Bergamo (1976) e ai lavori di manutenzione straordinaria e messa in sicurezza compiuti tra il 1978 e il 1981 (spostata la mensa universitaria in precedenza collocata al primo piano, venne eseguito il rifacimento del tetto, ormai prossimo al crollo, ed in seguito il restauro delle facciate esterne e di parte dei locali interni).

Il degrado delle decorazioni dei palchi

Da allora, lo spazio ha ospitato soprattutto esposizioni (mostre d’arte e varie manifestazioni culturali), sino all’inizio dell’intervento di restauro, intrapreso per iniziativa congiunta del Comune e della Sovrintendenza a partire dal 2006.

Grazie  al recupero dell’edificio alla destinazione originaria (2006-2009) il teatro è rinato, ospitando lirica, prosa, festival jazz ed altri spettacoli. La sua vitalità attesta oggi una nuova centralità di Città Alta, e l’ormai raggiunta integrazione di entrambe le entità cittadine: la città antica e i borghi cresciuti alle sue falde.

LE ATTIVITA’ DEL SOCIALE NELL’OTTOCENTO

Sull’onda della competizione con il Teatro Riccardi di Città bassa, il Sociale fu memorabile sede di rappresentazioni operistiche di autori di grande levatura musicale, quali Rossini, Verdi, Ricci, Ponchielli, Mayr e del suo allievo Gaetano Donizetti, sovente accompagnate da interpreti di fama (a tal proposito si ricordano le buone stagioni tra il 1809 e il 1840).
Importanti furono le rappresentazioni di opere inedite per Bergamo: nel primo anno di attività del Sociale, Mayr con l’Oratorio di Haydn Die Schöpfung, del 1798; nel 1860, Pacini con Stella di Napoli.

Nel 1809, grazie al suo Maestro Simone Mayr (che dal 1806 aveva fondato le Lezioni Caritatevoli rivolte a ragazzi indigenti dotati di talento musicale) un giovanissimo Gaetano Donizetti calcò il palcoscenico del Sociale in qualità di corista, nell’Oratorio di Franz Joseph Haydn La Creazione del mondo, mentre nel 1814 subentrò come secondo basso buffo ad un certo punto della stagione di Carnevale. Nel 1830 il palco del Sociale fu il primo a Bergamo ad ospitare un’opera di Gaetano Donizetti: L’Ajo nell’imbarazzo. Non ebbe un gran successo, ma Gaetano non ci restò male, perché forte del consenso ottenuto in tutta Italia (Gaetano Donizetti – Autoritratto)

La sala del Sociale condivise inoltre col teatro Filarmonico di Verona l’onore di tenere a battesimo la ‘prima’ italiana dei Masnadieri di Verdi, dati simultaneamente in entrambe le sale a partire dal 26 dicembre 1847, un privilegio concesso alla ‘piazza’ bergamasca, in cui si pensa abbia giocato un qualche ruolo Alfredo Piatti (che non solo aveva preso parte alla ‘prima’ londinese dell’opera, il 22 luglio 1847, ma per il quale Verdi aveva concepito il Preludio come pagina per violoncello concertante).

Va ricordato, tra i tanti che si esibirono al Sociale, anche il violoncellista Alfredo Piatti (1822-1901), che nel 1831 suonò come solista e che, nonostante fosse chiamato in tutta Europa, negli anni sarebbe tornato più volte a Bergamo

Anche i balletti e la prosa ricoprirono un ruolo rilevante grazie alla presenza di importanti compagnie, tra gli spettacoli di teatro parlato, va menzionata (1816) la farsa del grande Farinelli, L’effetto naturale.

Grande figura di spicco nel corso di quegli anni al Sociale, fu il grande compositore bavarese Johann Simon Mayr, coinvolto fin dalla stagione inaugurale nelle attività del Sociale, che fece da cornice a un’iniziativa straordinaria: l’esecuzione, da parte di Mayr, di una partitura molto impegnativa, il già citato Oratorio di Haydn Die Schöpfung (1798), nella traduzione italiana di Giuseppe Carpani (La creazione del mondo), iniziativa che ebbe risvolti importanti per la realtà musicale bergamasca di quegli anni.

Si trattava di una delle sue prime esecuzioni italiane, se non della prima integrale; era accompagnata da un vero e proprio ‘programma di sala’, così come lo intendiamo oggi; vedeva la collaborazione tra professionisti, l’orchestra, (più o meno la medesima delle funzioni più importanti di S. Maria Maggiore) e studenti della neonata scuola di musica fondata e diretta da Mayr, e aperta nel 1806, compresi i ragazzi del Conservatorio, tra i quali Gaetano Donizetti. Con la sua iniziativa, Mayr si proponeva finalità didattiche (era un’ opera dotata di grande valore formativo) e filantropiche (la costituzione di un fondo di solidarietà per musicisti, il Pio Istituto Musicale), nell’ottica dell’ex allievo del collegio gesuitico di Ingolstadt e illuminato propugnatore di ideali educativi, che nel Regno napoleonico d’Italia trovavano terreno fertile.

Fra le altre iniziative vi fu anche la riproposta di un titolo recente ma ormai ‘classico’ del suo catalogo come Ginevra di Scozia, che Mayr aveva riveduto con la sostituzione o l’aggiunta di nuovi ‘numeri’.
Anche negli anni seguenti Mayr partecipò direttamente ad alcune stagioni carnevalesche, come accadde, ad esempio, nel 1819, quando la sua Lodoiska fu ripresa arricchita di nuovi brani da lui scritti per la circostanza. L’anno dopo debuttava addirittura una sua opera nuova appositamente commissionata, Alfredo il Grande re degli Anglo-Sassoni, per la quale nel febbraio 1820 riceveva i complimenti dell’amica Adelaide Malanotte.

Tra gli ospiti illustri va ricordato anche Niccolò Paganini, che calcò il palco del teatro per ben tre volte: funambolico, geniale e sorprendente con il suo violino, regalò al Sociale un grande spettacolo. Nel 1876 vi si esibirono anche Le dame Viennesi, un’orchestra di sole donne che richiamò a teatro molte signore eleganti incuriosite dall’evento.

Il 12 settembre 1885 si organizzò un concerto per l’inaugurazione del monumento a Giuseppe Garibaldi, appena posizionato in Piazza Vecchia (dove era stato posto il 15 settembre). Per l’occasione, sul palco del Sociale venne posto un busto dell’eroe contornato di trofei di bandiere e molti fiori. Il monumento verrà poi trasferito alla Rotonda dei Mille, il 20 settembre del 1922, perché non piaceva ai bergamaschi

IL PROGETTO DEL SOCIALE, UN TEATRO ALL’ITALIANA 

Leopoldo Pollack, Progetto del Teatro Sociale, sezione longitudinale (Bergamo, Biblioteca Civica Angelo Mai e Archivi storici). Il progetto originale di L. Pollack si compone di dieci tavole acquerellate

Pollack poté solo in parte adottare le nuove strategie che si andavano diffondendo in quegli anni: impossibilitato dalla strettezza di via Corsarola a corredare l’edificio di facciata monumentale, portico, colonnato o quant’altro avrebbe permesso di identificare un teatro a colpo d’occhio – come fu per la Scala di Piermarini – egli dovette accontentarsi di una facciata elegante sì, ma senza soluzione di continuità con i palazzi limitrofi. Solo gli elementi decorativi, attinenti al mondo delle arti teatrali, attestavano la sua natura di luogo deputato a pubblici spettacoli.

Il Teatro Sociale è un complesso di eccezionale qualità architettonica e occupa Ia maggior parte del grande isolato che ha il fronte maggiore su piazza Vecchia e che comprende anche il Palazzo del Podestà e il Palazzo dei Giuristi. Ha l’ingresso principale sulla via Colleoni e accessi dai due Iati di piazza Vecchia e vicolo Ghiacciaia. La conformazione della strada ha fatto sì che il teatro non avesse una facciata o, meglio, ne ha una molto semplice, visto che la Corsarola è, ed è sempre stata, una strada troppo stretta per costruirne una imponente. E dato che non c’era un portico per accogliere il pubblico, le carrozze si dirigevano verso il secondo ingresso posizionato sul lato sinistro raggiungibile da Piazza Vecchia, affacciato su un cortile dal quale si raggiungeva il foyer attraverso un corridoio

Nonostante ciò, col suo prospetto elegante e decorato, il Sociale si presentava all’esterno con tratti di dignità ben diversi dal Riccardi che, visto da fuori, dava l’idea di un pachiderma goffo e sgraziato. Inoltre, rispetto al Teatro alla Scala, alla Canobbiana di Milano, al Teatro di Monza e al Riccardi (attuale Teatro Donizetti) era il quarto per grandezza in Lombardia.

Leopoldo Pollack, Progetto del Teatro Sociale, facciata (Bergamo, Biblioteca Civica Angelo Mai e Archivi storici)

L’INTERNO

Pollack decise per un teatro all’italiana, con più ordini di palchi, che realizzava l’esigenza di visibilità pubblica delle classi aristocratiche e dei loro rapporti gerarchici.

Leopoldo Pollack, Progetto del Teatro Sociale, sezione trasversale (Bergamo, Biblioteca Civica Angelo Mai e Archivi storici). Vi sono collocati tre ordini di palchi, una grande galleria e una spaziosa platea, per una capienza complessiva di circa 1300 spettatori

Quanto all’impianto della platea, Pollack scelse di non ripetere la pianta a forma di cavallo dominante a quel tempo, optando invece per una più ricercata ed elegante forma ovale probabilmente di ispirazione francese. L’abbinamento di questa forma con lo sviluppo verticale dei palchi costituisce forse l’aspetto più originale del progetto.

Leopoldo Pollack, Progetto del Teatro Sociale, pianta (Bergamo, Biblioteca Civica Angelo Mai e Archivi storici)

Ottima l’acustica, grazie anche alle strutture costruite totalmente in legno.

I PALCHI

Gli 82 palchi sono distribuiti su tre ordini sovrapposti, sui quali insiste un quarto ordine di loggione.

Dietro ad ogni palco (di proprietà di una famiglia nobile) c’erano anche i camerini, piccoli ambienti di servizio, uno spazio privato a disposizione della famiglia

 

Come per il Teatro Donizetti, anche qui non c’è il palco reale, o palchettone, grande il doppio rispetto agli altri e tradizionalmente utilizzato per ospitare le autorità. Venne progettato ma mai realizzato

Pollack progettò i parapetti lignei dei palchi secondo una linea continua, come Piermarini aveva fatto per la Scala; essa dà risalto alla dimensione orizzontale degli ordini di palchi (rispetto a quella verticale evidente invece nella sezionatura a balconcino derivata dal modello del Bibiena), e conferisce alla forma complessiva della sala una armoniosa uniformità di impronta classica.
I parapetti lignei erano ricchi di decorazioni policrome, spesso sgargianti, come i colori delle pareti interne ornate talvolta anche con finti marmi, e in contrasto con i materiali poveri della pavimentazioni e delle volte a calce.

Le finestre del Ridotto si affacciano sulla Corsarola, la strada principale di Città Alta, nata sul decumano romano e ricca di notevoli resti archeologici. Lo spazio del Ridotto è oggi dedicato a incontri, eventi e conferenze stampa. Gli ambienti attuali sono il frutto del massiccio intervento di restauro avviato nel 2006

L’APPARATO DECORATIVO

Cospicue furono le spese per la decorazione: le decorazioni del soffitto e i parapetti furono eseguite da Vincenzo Bonomini e Francesco Pirovani. Bonomini, decoratore e figurista di talento, aveva anche proposto un progetto per la decorazione della volta, poi non approvato perché gli fu preferita quella a carattere figurativo di Lattanzio Querena, autore anche della medaglia della volta.

Il sipario fu dipinto da Carlo Rota con una veduta di piazza Vecchia e in collaborazione con altri artisti, come Francesco Pirovani e Domenico Minozzi; gli addobbi, sontuosi perché si voleva che la sala fosse una delle migliori esistenti

I RESTAURI DEL 1830

Nel 1830 i fondatori vollero perseguire un progetto di rinnovamento del teatro. L’operazione fu affidata ad Alessandro Sanquirico, celebre scenografo della Scala, che ridipinse sia i fregi dei parapetti dei palchi, che le decorazioni del loggione. La sala, inoltre, fu illuminata da una “ricca lumiera”, una nuova luce che permetteva agli spettatori di vedere meglio le scenografie, i costumi, il trucco degli artisti. Sarebbe così diventato più facile apprezzare il nuovo sipario dipinto da Cesare Maironi Da Ponte, che aveva studiato all’Accademia Carrara, oppure le scene di Luigi Deleidi o Pietro Ronzoni.

I RESTAURI DEL 2006-2009

L’intervento di restauro, completato nel maggio del 2009, ha consegnato alla città un teatro storico completamente recuperato alla sua originaria vocazione teatrale, attraverso un rinnovamento dei luoghi e degli apparati decorativi nonché un consolidamento generale delle strutture.

Prima dell’inizio dei lavori, il complesso architettonico del Teatro versava in una condizione di degrado molto avanzato: le file dei palchi, ormai pericolanti per l’incuria del tempo, erano inagibili; la zona della platea ed i locali del teatro avevano subito rimaneggiamenti e non rispondevano alle normative attuali. Lo stato di abbandono seguito alla chiusura del teatro fu però  anche la sua fortuna perché non furono eseguiti i tipici interventi distruttivi degli anni Sessanta

Direttore dei lavori, nonché progettista del recupero è stato l’Architetto Nicola Berlucchi, che ha improntato l’intero progetto ad un’armonica mediazione tra storico e moderno, con il preciso intento di mantenere le caratteristiche storiche e culturali del Teatro, comprese quindi tutte le decorazioni originali e le funzionalità previste nell’800.

Il Teatro Sociale prima dei lavori di restauro del 2006

Allo stesso tempo è stato garantito il rispetto delle normative di sicurezza, anche attraverso la realizzazione di nuovi vani scala non visibili dall’interno del teatro, o installando sotto la platea una vasca da 110 mila litri d’acqua come strumento antincendio.

Restituire il Sociale alla sua originaria vocazione teatrale ha significato anche l’allestimento di una moderna macchina scenica, con un nuovo palcoscenico in cui è stata inserita una struttura in acciaio (graticcia) composta da arcate del peso di 35 tonnellate, a rinforzo di quella esistente in legno.

La fossa orchestrale è stata dotata di una piattaforma meccanica elevabile su tre livelli.

Si è proceduto al rifacimento delle pavimentazioni del foyer, al restauro delle pareti, dei soffitti e delle finiture superstiti, e del nuovo portone di accesso.

Si sono attuati il ripristino dei primi tre ordini di palchi (per un totale di circa 550 posti), sezionati mediante nuove pareti divisorie, secondo il disegno originale.

S’è provveduto inoltre al rinforzo dei parapetti lignei dei palchi, cui sono stati apportati discreti ritocchi integrativi mediante un lavoro di ebanisteria, fissaggio e protezione delle decorazioni e ripresa delle lacune.
Anche per i pilastri e i controsoffitti s’è proceduto con un restauro ligneo e pittorico.

Per il quarto ordine, il loggione, è stato previsto il consolidamento statico, al fine di renderlo in futuro, tramite semplici operazioni di completamento, facilmente disponibile all’accesso del pubblico.

Al posto della vecchia cupola, che era crollata a causa delle intemperie, si è optato per una copertura a capriate di legno, che permette un’acustica migliore ed è peraltro più affascinante di un coperchione sul quale avrebbero dovuto correre pitture e decori finti.

Infine, da annoverare la realizzazione degli impianti di riscaldamento e raffreddamento, il rifacimento dell’impianto elettrico e di illuminazione, la predisposizione di adeguati servizi igienici ed infine la realizzazione di tre nuovi livelli di camerini, alla destra del palcoscenico.

Oggi il Teatro Sociale è utilizzato dalla Fondazione Teatro Donizetti per la messinscena di alcuni spettacoli di prosa e di opere liriche e per lo svolgimento di concerti jazz. È, inoltre, la location principale per la rassegna di Altri Percorsi.

NOTE

(1) Spiega Francesca Fantappiè che “Tali discordie, nel caso in cui veniva proposta la realizzazione di un teatro stabile si palesavano regolarmente al momento della distribuzione dei palchetti (…) Il possesso di un palchetto era sinonimo di uno status sociale e le contestazioni relative alla sua assegnazione erano comuni, come dimostra il caso veneziano meglio noto come «guerra dei palchi». Nel corso dei dieci anni in cui il Teatro Cerri “rimase attivo, nuove e più coese istanze sociali portarono al compimento del Teatro Sociale, un teatro a conduzione collettiva” (Francesca Fantappiè, «Per teatri non è Bergamo sito». La società bergamasca e l’organizzazione dei teatri pubblici tra ’600 e ’700. Copyright © 2010 by Fondazione per la Storia Economica e Sociale di Bergamo).

(2) Il Teatro Cerri era staro costruito nella Sala Maggiore del Palazzo della Ragione per sostituire il distrutto Teatro di Cittadella (anch’esso provvisionale) con la riserva che restasse attivo per soli dieci anni: 1797-1807 (Francesca Fantappiè, «Per teatri non è Bergamo sito», Ibidem).

(3) L’attività scenica si distribuiva su periodi precisi, che dalla fine del Settecento coinvolse principalmente due stagioni: quella di Carnevale, che si svolgeva tra dicembre e febbraio, e quella della Fiera, che si svolgeva invece tra agosto e settembre. Per l’esattezza, l’inizio della stagione del Carnevale cadeva il 26 dicembre, per cui ad esempio la dizione ‘carnevale 1810’ significava che i suoi spettacoli potevano principiare a partire dal 26 dicembre 1809.

(4) Nel ‘38 lo acquistò il Partito Nazionale Fascista ma le cose non migliorarono. Il Sociale rischiò più volte di essere abbattuto: ben due progetti proposero di abbattere tutto tranne la parte del foyer e delle sale nobili. Fortunatamente il progetto non si concretizzò; con l’inizio della II Guerra Mondiale non ci furono più fondi a disposizione. Passò poi al Demanio dello Stato, ma la situazione continuò ad essere critica per il teatro: nel 1947 e nel 1961 altri due progetti proposero di trasformarlo in un cinema. Nel 1963 venne comprato dalla Parrocchia del Duomo e nel 1976 dal Comune di Bergamo (www.teatrodonizetti.it).

Riferimenti

Paolo Fabbri, Le due città (tratto da Il Teatro Sociale di Bergamo. Vita e opere, di Luigi Pilon).

www.teatrodonizetti.it

Vanni Zanella, Bergamo città, seconda edizione, Azienda Autonoma di Turismo, Bergamo, 1977, pag. 67.

Leopoldo Pollack architetto 1751 – 1806: Le vicende del Teatro Sociale 1803 – 1978, Grafica Gutemberg, Gorle (Bg), 1978, pagg. Da 43 a 44.

Il Teatro Riccardi, il primo teatro stabile di Bergamo (antesignano del “Donizetti”)

Il Teatro Riccardi, fondato nel 1786 e intitolato a Gaetano Donizetti nel 1897, in occasione del centenario della nascita del compositore (foto del 27 nov. 1896. Autore Rodolfo Masperi)

Nel cuore della Città Bassa, là dove oggi sorge il teatro dedicato a Gaetano Donizetti, c’era un altro teatro – il Teatro Riccardi -, che era sorto nel 1786 come primo teatro stabile a Bergamo, con un ritardo di oltre un secolo rispetto agli altri centri urbani della Terraferma veneziana.

Prima di quella data Bergamo aveva dovuto accontentarsi di teatri provvisori eretti occasionalmente, nonostante godesse da tempo di una discreta attività teatrale: le rappresentazioni operistiche venivano infatti allestite almeno dalla seconda metà del Seicento, mentre per tutto il Settecento vi era stata la progressiva ascesa del teatro musicale e si era affermata l’opera buffa (1).

L’unico edificio teatrale stabile di Bergamo eretto in epoca antecedente – il Secco Suardo -, risale alla seconda metà del Seicento, ma era stato ricavato in un palazzo privato di Città Alta ed ebbe vita breve; nella seconda metà del Settecento era invece attivo  il teatro della Cittadella (documentato dal 1757), un teatro provvisorio costruito periodicamente nei saloni del Palazzo del Capitano e utilizzato in inverno; un altro teatro provvisorio è documentato sotto il Palazzo Vecchio della città.  Dunque, se si eccettua la breve parentesi del Secco Suardo nella Citttà Alta – sede della nobiltà filo veneziana -, i primi spettacoli vennero allestiti in palazzi pubblici, opzione che permetteva alle autorità cittadine che vi risiedevano di esercitare un maggiore controllo.

Palazzo Secco Suardo (413, 415) nella mappa castastale di Bergamo (1876). Il teatro Secco Suardo, un un vero e proprio teatro privato di estrazione nobiliare, fu costruito nella seconda metà del 1686 (attivo fino al 1695) su iniziativa del conte Giuseppe Secco Suardo, nel suo palazzo sito in contrada di Sant’Agata. I Secco Suardo erano tra le famiglie della nobiltà bergamasca che potevano vantare origini più antiche (ASBg, Catasto lombardo veneto, mappe) – (da Francesca Fantappiè, «Per teatri non è Bergamo sito». La società bergamasca e l’organizzazione dei teatri pubblici tra ’600 e ’700. Copyright © 2010 by Fondazione per la Storia Economica e Sociale di Bergamo)

 

Teatro della Cittadella, prospetto dell’arcoscenico e pianta del palco (1770). Documentato dal 1757, fu smantellato il 6 gennaio 1797.  L’edificio teatrale provvisorio in legno, veniva costruito in sale di rappresentanza di volta in volta destinate allo scopo o talvolta al centro del cortile stesso della Cittadella. Al primo piano della zona destinata al rettore veneto esistevano due grandi saloni. Sebbene un loro utilizzo a fini spettacolari sia accertato con continuità solo dalla seconda metà del Settecento, l’ipotesi di un uso anteriore a questa data non è da escludere (da Francesca Fantappiè, «Per teatri non è Bergamo sito», Cit.)

Ma era nella Città Bassa e più precisamente nel grande quadrilatero della Fiera, che si era andata cristallizzando l’ “industria” dell’intrattenimento, una sorta di variegato sistema teatrale, basato sulla costruzione di diversi edifici provvisori, gravitanti intorno alla grande manifestazione commerciale che si teneva nel Prato di S. Alessandro.

Il Sentierone e la Fiera – Costantino Rosa (Bergamo, proprietà dr. E. Tombini). La Fiera di Bergamo (costruita in muratura solo nel 1740) era un’importante manifestazione commerciale, nota anche all’estero fin dal Medioevo, soprattutto per il commercio del bestiame, della lana e della seta. Si teneva  in occasione della festa di S. Alessandro, patrono della città, mentre nel restante periodo era prato da pascolo per il bestiame. Il grande quadrilatero occupava pressappoco l’area dove oggi sorge il Centro piacentiniano,  compresa tra la Piazza Baroni a nord (in parte dov’è attualmente la Piazza della Libertà), il Sentierone a sud, l’asse Largo Belotti – Chiesa di S. Bartolomeo a oriente e Piazza Cavour – inizio via Venti Settembre a occidente

In questo luogo, ogni anno, tra l’ultima settimana di Agosto e la prima di Settembre venivano montate delle baracche di legno, nelle quali i mercanti esponevano le loro merci e che vennero sostituite nel 1740 da una costruzione stabile in muratura, disegnata dall’architetto Gian Battista Caniana, di cui oggi resta – unica superstite – la fontana.

La fontana della Fiera, unica superstite della settecentesca fiera di pietra, abbattuta negli anni 20 del Novecento per far posto al Centro Piacentiniano

Com’era usanza in ogni città, nelle belle stagioni gli spettacoli e gli intrattenimenti gravitavano in gran parte intorno alle fiere, luogo di elevato afflusso di forestieri (16.000 persone alla fine del Settecento), richiamati anche dall’allettante invito dei cartelloni teatrali, come avveniva appunto anche presso la Fiera di Bergamo, dove il periodo dedicato agli spettacoli coincideva principalmente con la fiera d’agosto, caratterizzata da un fitto calendario di appuntamenti. Attorno ai banchetti fiorivano teatrini provvisori, chiamati appunto Provvisionali in quanto demoliti alla fine della stagione e riedificati, col materiale risposto in appositi magazzini, la stagione successiva.

Locandina degli spettacoli in Fiera

 

Intorno alla Fiera, teatrini provvisori e baracconi d’ogni sorta ospitavano le più svariate forme di spettacolo (intrattenimenti circensi, concerti, rappresentazioni teatrali, burattini, marionette e “meraviglie” di ogni specie), persistenti in Piazza Baroni agli inizi del Novecento (fotografia del 1902)

 

Pianta del tezzone del salnitro di Bergamo presso il recinto delle monache di Santa Marta (sec. XVIII). Tra le invenzioni esposte in fiera nel 1789 troviamo anche dispositivi proto-cinematografici, quali «le ombre francesi fisiche-mecaniche» dei fratelli Mangeani già esposte nel «teatro di Sua Maestà a Parigi» o nel teatro Reale di Londra, visibili a Bergamo durante la fiera del 1787 «nel luogo del salnitro», probabilmente un casotto vicino al tezzone presso le monache di Santa Marta (da Francesca Fantappiè, «Per teatri non è Bergamo sito», Cit.)

Si trattava dunque di teatri effimeri, effimere sedi dove, al teatro regolare si affiancavano le più svariate forme d’intrattenimento, che ruotavano intorno alle due principali stagioni (Carnevale e fiera d’agosto): dalle mascherate alle esibizioni mimiche e buffonesche, dai burattini al circo, dagli ammaestratori di animali e dalle esposizioni di animali esotici alle esibizioni dei ciarlatani e dei saltimbanchi, dagli acrobati agli ambulanti con i loro apparecchi proto-cinematografici, dai tornei alle opere in musica le quali, fra tutti gli spettacoli, avevano largo campo: da quando l’opera in musica era stata inventata, costituiva certo l’esca più appetitosa: nel corso del Settecento dunque, il fecondo connubio di Opera e Fiera era ben noto e praticato anche a Bergamo: o meglio, nei suoi Borghi.

Con il passaggio alla Fiera in muratura, nel 1740, venne sancito il definitivo spostamento della sede direzionale dell’economia dalla Città sul colle ai Borghi nella piana: la Fiera, con le aree circostanti, era ormai divenuta l’elemento centrale del divenire cittadino, il luogo dell’incontro del baricentro sociale e urbanistico tra l’antica città sul colle e la nuova città che si espandeva oltre le Muraine.

La mentalità bigotta e provinciale che voleva una Bergamo laboriosa, onesta e virtuosa, ma poco incline ai divertimenti del teatro profano, fu piegata dalla vitalità dei Borghi, fino ad essere definitivamente sconfitta dall’azione individuale di una persona che non apparteneva all’oligarchia cittadina, ma al ceto imprenditoriale emergente (2).

Si trattava di Bortolo Riccardi, scaltro impresario teatrale (3), che nel 1786,  nel prato sant’Alessandro dove si teneva la fiera, prese l’iniziativa di sostituire al teatro provvisorio preesistente (il Teatro Bolognesi, un baraccone-teatro costruito in legno, su istanza di Francesco Bolognesi, e sorto in quest’area nel 1770) un teatro cittadino con caratteri un po’ meno effimeri di quelli che si innalzano e si demoliscono stagione dopo stagione, rinsaldando definitivamente il nesso Fiera-Teatro.

Il nuovo edificio doveva risultare talmente complementare alle installazioni commerciali, da essere situato perfettamente in asse rispetto a loro (era infatti posto fra le Muraine e il Sentierone, cui si rivolgeva), “in prospetto al rastello di mezzo di là della strada verso il portello delle Grazie”: insomma, una sorta di prolungamento, di loro appendice, come mostrano le piante d’inizio Ottocento.

La facciata del Teatro Riccardi, intonacata e preceduta da un piccolo portico, era  molto diversa dalla facciata monumentale  di oggi. Fu eretto nella zona che confina sul fronte con Ia strada, sul retro con il mercato dei cavalli, sul fianco orientale con il mercato dei bovini e su quelIo occidentale con la piazza d’armi

Travagliate furono le vicende legate a questo progetto del 1786. Per edificare un teatro stabile, Riccardi dovette aggirare le norme del Comune e dell’Ospedale Maggiore (rispettivamente proprietario e usufruttuario del terreno presso la Fiera), che imponevano le caratteristiche della provvisorietà. Con decisione e spregiudicatezza, adducendo a pretesto l’umidità del terreno il Riccardi piantò le fondamenta in pietra e cominciò a erigere i piloni in mattoni.

Per finanziare la costruzione del teatro, Bortolo Riccardi fu costretto, con atto notarile del 30 giugno 1790, a vendere i palchi; gli acquirenti del tempo, così come nelle grandi città, erano i membri delle grandi famiglie nobili, talvolta dell’alta borghesia. I palchisti del Riccardi erano rappresentati dai tre nobili Giovanni Battista Vertova, Luigi Grismondi e Giovanni Giacomo Arrigoni: 930 lire per prepiano e primo ordine, 690 per il secondo e 360 per il terzo – fino al 7 novembre 1938, all’atto della cessione al Comune, all’insegna della dialettica tra pubblico e privato (la vertenza sui canoni arretrati, che Riccardi esigeva all’infuori della stagione di fiera, si trascinerà fino al 1884 cogli eredi dell’imprenditore).

Nota dei palchettisti nel nuovo Teatro (1786) – Biblioteca Civica A. Mai e Archivi Storici Comunali

La fabbrica venne sospesa perché l’iniziativa aveva suscitato un putiferio di polemiche, ma di sicuro Riccardi non ne attese il compimento per utilizzare il teatro (che per il momento veniva chiamato indifferentemente Teatro Nuovo al Prato di Fiera, o Teatro Nuovo, o Teatro di Fiera): fra polemiche e ristrettezze finanziarie, nel teatro sistemato in qualche modo con coperture di legno e di tela, ben prima dell’inaugurazione ufficiale s’incominciarono a tenere spettacoli e già nel 1784 si rappresentò l’opera in musica “Medonte” di Guseppe Sarti.

Il quinquennio intercorso tra la prima metà del 1786 (periodo in cui Bortolo Riccardi conseguì la licenza per la messa in sicurezza del vecchio teatro di legno) e il 1791 (anno della definitiva conversione in pietra dell’edificio) fu segnato da controversie di ogni tipo.

Prima ancora dell’apertura ufficiale, durante il Carnevale del 1791 al Riccardi venne organizzato il lancio di un pallone areostatico. Conclusi i lavori e completata la copertura, il 24 agosto del 1791 vi fu l’inaugurazione ufficiale, con l’intitolazione a Riccardi: come opera inaugurale fu scelta la “Didone abbandonata” di Pietro Metastasio. L’ellisse allungata della pianta garantiva una perfetta visibilità e un’ottima acustica; per la distribuzione ed armonia – affermava un testimone dell’epoca – può essere considerato fra i migliori d’Italia.

Nel 1791 il Teatro Riccardi inaugura con la “Didone abbandonata”. Direttore dell’orchestra C.B. Rovelli, capostipite di una famiglia di musicisti bergamaschi – Biblioteca Civica A. Mai e Archivi Storici Comunali Sala 32 D 1 2 (23)

 

1780-1796 Pianta del Teatro Riccardi. Copia del progettista G. Lucchini secondo il disegno originario del 1786. L’interno del Teatro Riccardi, realizzato su disegno di Giovanni Francesco (Gianfranco) Lucchini, aveva la forma classica con i palchetti all’italiana (originariamente tre ordini di palchi più una loggia; con la ricostruzione dopo l’incendio del 1797 si aggiungerà un’altra loggia), La pianta era ad ellissi, le misure perimetrali erano  di circa m. 58 x m. 35, la platea (le cui misure ne fanno una delle più grandi esistenti aII’epoca) era lunga m. 21,40, mentre il boccascena era  largo m. 15,30. Le decorazioni erano di Marcellino Segrè – Biblioteca Civica A. Mai e Archivi Storici Comunali. Sala 32 C 8 25 (3.1)

Negli anni successivi, il teatro restò regolarmente aperto nei periodi consentiti (Primavera ed Estate, oltre che per la Fiera), senza destare particolari preoccupazioni nelle autorità: all’opera seria, momento chiave della programmazione coincidente con la fiera, si affiancavano altri generi nei restanti periodi dell’anno: teatro in prosa, opera buffa e, in alcuni casi, spettacoli circensi.

Tuttavia venne sottoposto ad una vigilanza continua. Siamo infatti nel periodo seguente lo scoppio della rivoluzione francese, evento che indusse il potere veneziano a tenere un atteggiamento sempre più guardingo nei confronti di tutti i luoghi pubblici deputati al tempo libero e all’intrattenimento: dai teatri alle osterie, dalle accademie alle pubbliche piazze. Non sorprende quindi se nel 1796, anno che precede la rivoluzione bergamasca, il proprietario dell’unico teatro stabile cittadino, insieme a parte dei personaggi che ruotavano attorno all’attività del medesimo, figurassero tra i principali fautori della ribellione contro Venezia e propugnatori dei diritti di uguaglianza, libertà e fraternità diffusi dai francesi. Nel corso degli eventi che prepararono la rivolta Bortolo Riccardi assunse i tratti di una figura carismatica, così come il suo teatro sembrò diventare un punto di riferimento per un nuovo ceto cittadino.

A Bergamo, l’arrivo delle truppe francesi avvenne 25 dicembre 1796: occuparono e disarmarono il Castello di San Vigilio, punto militarmente strategico, in attesa del via libera da parte dei comandi generali per prendere ufficialmente possesso della città. All’assedio dei nemici Alessandro Ottolini non poté opporre alcun reale provvedimento bellico. I mesi che seguirono si contraddistinsero come un periodo di estenuante attesa da entrambe le parti. Le scelte del capitano furono perciò disperate. Dopo aver ottenuto il permesso da Venezia, la notte del 7 gennaio 1797 fece smantellare il Teatro della Cittadella, allo scopo di impedire l’ingresso nel proprio palazzo dei soldati francesi in veste di spettatori: spettacoli teatrali all’interno del fortilizio avrebbero permesso un facile accesso ai nemici in un luogo nevralgico per il mantenimento del potere militare sulla città.

Nel frattempo ordinò che la stagione invernale proseguisse nel Teatro Riccardi, situato all’esterno delle mura veneziane, nel prato di Sant’Alessandro. Cinque giorni dopo, nella notte del 12 gennaio 1797 (giorno prima del via della Stagione operistica nonché anno di nascita di Gaetano Donizetti), un furioso incendio distrusse irrimediabilmente anche questo edificio.

Abbozzo dell’affresco e degli ornamenti del soffitto per il Teatro Riccardi. Copia del progettista G. F. Lucchini – Biblioteca Civica A. Mai e Archivi Storici Comunali. Sala 32 C 8 24 (3) -(da Francesca Fantappiè, «Per teatri non è Bergamo sito», Cit.)

La demolizione di un teatro e l’incendio dell’altro apparirono immediatamente collegati. Dopo la caduta della dominazione veneziana il processo attivato dalla municipalità bergamasca individuò nel capitano Ottolini il vero responsabile ed ideatore della distruzione del Teatro Riccardi. La chiusura forzata dei due teatri avrebbe seguito una logica precisa da parte delle autorità veneziane, volta ad impedire la temuta rivoluzione.

Albero della Libertà, xilografia da I. Cantù, “Bergamo e il suo territorio”. In una Piazza Vecchia in festa, luci, musica, cibo e vino a volontà segnano l’inizio di una nuova situazione politica e sociale, in cui predominano libertà e diritti civili. La presa di possesso ufficiale di Bergamo ebbe luogo tra il 12 e il 13 marzo del 1797. Persino il vescovo di Bergamo benedisse la nuova repubblica bergamasca

L’abbattimento dei due teatri principali (Cittadella e Riccardi) non impedì che venisse immediatamente ristabilito il binomio Città Alta vs Borghi. Nell’agosto del 1797, sebbene in un edificio provvisorio, descritto come “nuovo Provisional teatro di Fiera”, si tenne l’opera buffa “L’Astuta in amore o li Raggiri scoperti”, con un cast quasi del tutto milanese (4). Nel frattempo Bortolo Riccardi progettava di ricostruire il suo teatro al più presto.

Giostre alla Fiera di Bergamo

Per quanto riguarda la Città Alta, per sostituire il Teatro di Cittadella venne dato prontamente il permesso all’impresario Francesco Cerri di costruire un teatro nella Sala Maggiore del Palazzo della Ragione, con la riserva che restasse attivo per soli dieci anni 1797-1807(5). Il Teatro Cerri allestì opere serie e comiche; aveva 74 palchetti disposti su tre file sormontate da una loggia, il teatro, in legno.

Dopo la demolizione di questo teatrino la Città Alta non rimase senza un edificio consono agli spettacoli del Carnevale. Dopo lo smantellamento del Teatro Cerri, sarà il Teatro Sociale ad imporsi definitivamente con questo ruolo (6).

Il rinnovato Teatro Riccardi, sempre per opera dell’architetto Gianfranco Lucchini venne ricostruito interamente in muratura e venne abbellito (parapetti dei palchi e soffitto) da pitture a chiaroscuro del Bonomini – pittore fra i più originali del periodo fra Sette e Ottocento -, che purtroppo si persero in occasione dei lavori di restauro del 1870. Riferisce Io storico Pasino Locatelli che il Lucchini, per probabili ragioni di economia, nel riedificare il teatro “non vi pose la solidità primitiva e fu [il teatro] anche lasciato non compito”, ed infatti rimase privo di facciata. Comunque “l’ampiezza, la forma interna, la bella e armonica curva furono però conservate, se non migliorate”. Così compiuto, il teatro venne riaperto al pubblico il 30 giugno 1800 con uno spettacolo di prosa.

Disegno a penna di Tommaso Frizzoni del Teatro Riccardi intorno al 1830, visto dal confinante Campo di Marte verso Borgo S. Leonardo – Biblioteca Civica A. Mai e Archivi Storici Comunali. Raccolta Gaffuri, 4 (fa parte di una serie con la veduta circolare su tutta la città e decorava una sala di casa Frizzoni)

 

A lato del Sentierone, la via S. Bartolomeo (oggi piazza Cavour) nel 1880 e, in primo piano, il Teatro Riccardi, 17 anni prima del rifacimento della facciata e dell’intitolazione del teatro a Gaetano Donizetti, avvenuta in occasione del centenario sua della nascita (foto Andrea Taramelli)

Agli inizi dell’Ottocento, e precisamente dopo la vittoria di Marengo, Napoleone dominava la scena europea. Nasceva così la Seconda Repubblica Cisalpina: mentre le truppe francesi presidiavano Bergamo, al Teatro Riccardi si davano rappresentazioni di diverso tipo, in onore dei nuovi dominatori.

L’inizio del secolo vide l’affermazione al Riccardi di un illustre musicista bavarese, diventato bergamasco, Giovanni Simone Mayr; lo straordinario impulso da lui impresso alla vita musicale della città si esercitò pure negli spettacoli d’opera al Riccardi fin dal 1801 (“L’Equivoco” e, successivamente, “L’Elisa” e “Ginevra di Scozia”), anche se fu solo dal 1802 che il musicista si installò definitivamente in città, intervenendo direttamente per diversi anni nell’allestimento delle sue opere. Nello stesso anno fu nominato direttore della Cappella di Santa Maria Maggiore e nel 1805 fondò le Lezioni caritatevoli di musica, poi Istituto Musicale, nel cui ambito fu il maestro e padre spirituale di Donizetti. Nel secondo decennio del secolo venne il turno di Rossini: furono  infatti le opere del musicista pesarese a dominare in tale periodo al Riccardi (7).

Gaetano Barabini, Ritratto di Simone Mayr (1827), olio su tela (Museo delle Storie di Bergamo, Museo Donizettiano)

Ma a un certo punto, l’impresa economica del Riccardi dovette scontrarsi con le pretese di privilegio di nobili e ottimati, ai quali aveva dovuto vendere i palchi (1790) per raccogliere la somma necessaria a completare l’edificio.
E fu sull’obbligo o meno di pagare un canone per le stagioni fuori dalla fiera, che scoppiò, nel 1802, un contenzioso che portò “molte famiglie delle principali bramose di conservare il lustro alla parte della Città stata sempre in possesso dello Spettacolo Teatrale nella Stagione suddetta” ad unirsi e ad erigere – a loro spese – “un secondo Teatro in vivo emulo del Teatro Riccardi” (da una relazione del 1817) (8) .

L’iniziativa dell’imprenditore Riccardi – un uomo estraneo all’oligarchia cittadina – battendo sul tempo l’immobilismo della Città alta, aveva infatti sbilanciato sensibilmente gli equilibrî tra le due articolazioni urbane rivali, in favore di quella pedemontana. Il suo, infatti, era il primo teatro stabile cittadino, un edificio a destinazione teatrale eretto appositamente ed autonomo, mentre ogni altro precedente teatro bergamasco era stato ricavato in spazi preesistenti nati con altra vocazione; la fondazione stabile di quel teatro sanciva molto concretamente il protagonismo dei Borghi rispetto alla Città.

Il teatro Riccardi in effetti era molto frequentato ed apprezzato. Lo scrittore Stendhal, presente a Bergamo come sottotenente di cavalleria dell’esercito napoleonico, scriveva a casa che “la nostra città ha due teatri: uno molto bello nel borgo, che è la Bergamo situata in pianura, e l’altro in legno sulla piazza della città” (ossia di Città alta: si tratta del Cerri).

Sull’onda della competizione tra la Città e i Borghi, il Teatro della Società (odierno Teatro Sociale) – inaugurato il 26 dicembre 1808 in Bergamo alta – nasceva dunque come iniziativa secessionista da parte della costola aristocratica del Riccardi, con il preciso intento di restituire alla Città quella supremazia che questi le aveva insidiato.

Tra il 1806 e il 1809, in Bergamo alta viene costruito il Teatro della Società, su progetto di L. Pollack; di pregevole architettura, questo teatro, sorto per iniziativa di un gruppo di nobili, è soprattutto un segno dell’ ormai consolidata destinazione della Città Alta a residenza della nobiltà terriera

La competizione si palesava anche sul piano estetico, a partire dalla scelta del progettista (L. Pollack): nonostante si prospettasse su di una via piuttosto angusta (lo spazio era stato ricavato attraverso una serie di demolizioni), col suo prospetto elegante e decorato, il Sociale si presentava all’esterno con tratti di dignità ben diversi dal Riccardi che, visto da fuori, dava l’idea di un pachiderma goffo e sgraziato.

Nelle stagioni di punta, le sale del Sociale e del Riccardi entrarono immediatamente in concorrenza sul terreno dell’opera (tra il 1810 e il 1814), alimentando e rispecchiando al tempo stesso quella situazione di conflitto esistente fra gli abitanti di Città e quelli del Borgo. Tuttavia, sostanzialmente, a parte alcune deroghe, non venne messo in discussione l’avvicendamento gerarchico tra i due teatri: il Carnevale apparteneva al Sociale (9) (che per tradizione assicurava l’intrattenimento carnevalesco per nobili, patrizi e borghesi dentro i bastioni) e ovviamente la Fiera al Riccardi e per assicurarsene, il Sociale fece addirittura in modo che tale tregua venisse imposta d’ufficio (1819), evitando quantomeno la gara operistica nei periodi suddetti (in più limitando la propria offerta concorrenziale al teatro parlato, reputato di rango inferiore), ed evitando quindi un enorme dispendio economico che il Sociale non poteva sostenere.

Quest’ultimo chiese ed ottenne, dal 1825 al 1856, l’erogazione di un finanziamento comunale (dote), poi soppressa a causa delle difficoltà economiche dovute alle vicende belliche e politiche degli anni seguenti, cosa che diede avvio ad anni difficili per il Sociale, che in più di un’occasione dovette economizzare.

Nel frattempo erano cambiate le condizioni politiche: nel 1814 le truppe francesi avevano abbandonato Bergamo e al loro posto s’erano insediate quelle austriache. Il dominio dell’Austria durerà fino al 1859.

Nel 1830 l’amministrazione del Teatro Riccardi passò, da Bortolo Riccardi, suo fondatore, all’impresario Bartolomeo Merelli (che aveva studiato musica con Donizetti e che per i suoi metodi dittatoriali era soprannominato “il Napoleone degli impresari”), il quale organizzò stagioni teatrali di grande richiamo. Per merito suo Vincenzo Bellini fu ospite del “Riccardi” nel 1830 con “La straniera” e nel 1831 con “Norma”, curandone in proprio la messinscena (la recita bergamasca della “Norma” costituisce una trionfale rivincita di quest’opera, che l’anno prima, al suo debutto alla Scala, era stata accolta freddamente: merito anche dell’interpretazione del celebre soprano Giuditta Pasta).
Ed fu ancora benemerenza del Merelli se le opere di Gaetano Donizetti vennero rappresentate a Bergamo in gran numero, a partire dal 1837, collaborando ad affermare le fortune del compositore bergamasco, riconosciuto a ragione uno dei più grandi dell’Ottocento.

Nel 1840 per la prima volta Bergamo tributò una pubblica manifestazione (fu anche l’ultima, lui vivente) a Donizetti, presente in teatro per la rappresentazione della sua opera “L’esule di Roma”, interpretata da cantanti di grido come Domenico Donzelli, Eugenia Tadolini e Ignazio Marini. I bergamaschi avevano scelto questo melodramma eroico come omaggio incondizionato (si tramandano in quell’occasione inseguimenti della carrozza del Maestro). 

Libretto dell’opera donizettiana “L’esule di Roma” rappresentata nel 1840 alla presenza del compositore (Archivio Fondazione Teatro Donizetti – Comune di Bergamo)

 

Ignazio Marini (Tagliuno 1811 – 1873). Fu il più grande basso della sua epoca. Cantò nei più importanti teatri d’Europa e d’America, Verdi scrisse per lui musica “su misura”. Per ben definirlo leggiamo cosa scrisse un critico d’allora: “Marini non si descrive, ma si sente, si vede e… stupisce. Quando la sua figura appare, quando la sua voce si spande, quando la sua anima passa nel suo canto portentoso col fervore emozionante dei vari e contrastanti affetti d’amore e di odio, di pietà e di gratitudine, d’invocazione o di ringraziamento, un’onda di commozione pervade i cuori degli ascoltatori; tutta la sua anima è trasfusa nella sua voce, e supera per così dire, il fenomeno stesso della sua canorità (Da: “Bergamo nelle vecchie fotografie” – Domenico Lucchetti)

A Bergamo il Maestro tornò definitivamente nel 1847 (al Riccardi si era appena rappresentata la sua “Maria di Rohan”), per morirvi l’anno successivo,  proprio nei giorni più esaltanti del movimento bergamasco di liberazione dal dominio austriaco.

Il gusto musicale dell’epoca era molto esigente, nacquero in città diverse società filarmoniche (centri di cultura musicale), si creò la prima banda cittadina e, sebbene il bisogno di teatri stabili della città di Bergamo venisse ora soddisfatto pienamente, la diffusa attività di attori e compagnie teatrali dilettanti favorì la costruzione anche di altri piccoli teatri: ricordiamo il Teatrino di Rosate ed il Teatro di San Cassiano in Città Alta, nonché il Teatro della Fenice in Città Bassa.

L’antico teatro dedicato a Simone Mayr,  chiamato anche “teatrino di San Cassiano”, era anticamente una chiesa, poi trasformata in  magazzino militare ed infine in teatro. L’edificio fu demolito nel 1937 quando, nell’ambito del piano di riqualificazione di Città Alta, la strada fu allargata e fu realizzata anche una piazzetta (Piazzetta Verzeri). La fotografia riprende il vicolo sul lato del teatrino Simone Mayr

 

Uno dei manifesti delle rappresentazioni che venivano date nel Teatro della Fenice in via S. Bernardino (per gentile concessione di Daniele Pelandi)

Oltre ai citati, in quest’epoca si affermarono al Riccardi grandi cantanti, come Giuditta Crisi, Giuseppina Strepponi (poi moglie di Giuseppe Verdi), Domenico Reina, Erminia Frezzolini, Carlo Guasco, Napoleone Moriani, e i grandi bergamaschi Giovan Battista Rubini (rivale del già citato Domenico Donzelli), Giacomo e Giovanni David, padre e figlio, anch’essi tenori (il secondo fu soprannominato: il Paganini del canto), Angelina Ortolani Tiberini, soprano, e altri ancora. Nell’atrio del teatro – sistemato modernamente – si possono vedere tra gli altri busti quelli del Rubini e della Ortolani.

Angelina Ortolani Tiberini, nata ad Almenno nel 1834 – Grande soprano; dotata di una voce definita angelica, fu una meravigliosa interprete delle opere di Rossini, Bellini, Donizetti. Fece il suo debutto al teatro Riccardi, la sera del 23 agosto 1853, nella Parisina di Donizetti. Scrisse il cronista del Giornale di Bergamo: Ella scioglieva la sua voce non forte, ma limpidissima, intonata, soave, angelica e cantò con abbastanza coraggio nonostante l’orgasmo del debutto. Nella prima rappresentazione destò entusiasmo, nella seconda delirio, nella terza furore”. Dopo una gloriosa carriera internazionale si spense a Livorno nel 1913 (Da: “Bergamo nelle vecchie fotografie” – Domenico Lucchetti)

 

Mario Tiberini (marito di Angelina Ortolani), con la moglie formò una coppia indimenticabile. Grande interprete dell’Otello di Rossini. Memorabile fu la “Lucia” che i coniugi Tiberini interpretarono al teatro Riccardi nel 1869 (Da: “Bergamo nelle vecchie fotografie” – Domenico Lucchetti)

Vi fu poi il debutto di Giuseppe Verdi, presente al Riccardi con l’“Ernani” nel 1844. L’esito della rappresentazione, curata dallo stesso Verdi, fu positivo, in un teatro affollato da molti esponenti del mondo artistico del tempo.
Verdi tornò al Riccardi per curare la messinscena del “Rigoletto” (1854), per la sua “prima” in Lombardia, ma l’esecuzione fu mediocre, con disperazione del Maestro, che però si rifece in seguito con gli esiti trionfali delle tante sue opere rappresentate al Teatro Riccardi.

Ma al Riccardi erano presenti anche i balletti (in uno si esibì, nel 1840, la celeberrima danzatrice Fanny Cerrito), le pantomime, le commedie, e spettacoli vari.
Tra gli attori di prosa si avvicendarono sulle tavole del Riccardi i maggiori interpreti italiani del tempo, come Giuseppe Salvini, Francesco Augusto Bon, Luigi Romagnoli, tutti capostipiti di famiglie di grandi teatranti, e poi Romualdo Mascherpa, Giuseppe Moncalvo, Maddalena Pelzet, Adelaide Ristori, Gustavo Modena. Vi furono anche trattenimenti di vario genere come i vaudevilles (progenitori dell’operetta) e meraviglie scientifiche come l’Agioscopio e il Miriafanorama, sistemi di proiezioni luminose che precorrono in certo senso, nel 1846, il cinematografo.

Dal 1835 il teatro venne dotato di un nuovo sipario, dipinto da Carlo Rota, e il concorso di pubblico non mancò. Gli ingressi si pagavano in lire austriache. Per facilitare gli spettatori provenienti da Città alta, e per attirarli nel “Borgo”, si praticarono per loro riduzioni di prezzo.

Nel frattempo, l’insofferenza contro il dominio dell’Austria aumentava sempre di più; tra le province dell’Alta Italia, quella di Bergamo era la più decisa a pronunciarsi contro l’Impero. Nel 1847 si registrò al Riccardi una memorabile esecuzione dell’opera “I lombardi alla prima Crociata” di Verdi, con una interminabile commossa ovazione al famoso coro “O Signore dal tetto natio”, emblematica espressione di tutti i popoli che aspirano alla libertà.

La rivolta vera e propria scoppiò nel marzo del 1848: anche Bergamo ebbe le sue Cinque Giornate e mentre numerosi cittadini accorsero a dar man forte ai milanesi sollevatisi contro Radetzky, altri in città, contemporaneamente, promossero ed attuarono l’insurrezione contro il presidio austriaco, comandato dall’arciduca Sigismondo, costretto a cedere.
Per motivi di “politiche turbolenze” e poi per un’epidemia di colera il Riccardi restò chiuso durante le stagioni di Fiera del 1848 e del 1849, e per un certo periodo fu adibito a ospedale militare. Le illusioni di libertà intanto caddero ad una ad una; e dopo una campagna vittoriosa le forze patriottiche si sfaldarono e gli Austriaci ripresero il sopravvento.

Si succedettero anni senza storia, se si eccettua l’incendio che una notte del 1850 distrusse parte del palcoscenico, e i lavori di miglioria apportati nel 1856. Poi, finalmente, nel 1859 Bergamo si liberò una volta per tutte dal governo straniero. L’Italia una e sovrana diventava una realtà. Il 12 agosto di quell’anno si tenne al Riccardi un concerto per la venuta a Bergamo di re Vittorio Emanuele II.

Gli alleati entrano in Bergamo – Giugno 1859. G. O. Defroydur, da un disegno su “L’illustration”. Bergamo, Museo del Risorgimento

Con il cambio di regime – e l’annessione di Bergamo al regno di Sardegna (poi d’Italia) – divampò nuovamente la gara operistica tra il Riccardi e il Sociale; gara che di nuovo, però, si smorzò a causa di ragioni economiche: già nel 1861 e 1862 il Sociale tacque, nel 1863 organizzò al massimo una stagione di teatro parlato e nel 1864 addirittura solo qualche concerto di studenti del Conservatorio di Milano.

Circolava per la città un’ aria nuova, una sensazione di progresso e di benessere, oltre quella relativa alla libertà ritrovata. Già durante gli anni austriaci la costruzione dei propilei di Porta Nuova (1837), della strada Ferdinandea (1838) e della stazione e del relativo collegamento ferroviario con Milano (1857), costituivano altrettante tappe dell’emancipazione della Città Bassa.

Il 20 agosto 1837, in coincidenza con l’apertura della Fiera di S. Alessandro viene inaugurata Porta Nuova (ampliando la Barriera daziaria delle Grazie), il nuovo e simbolico accesso alla città degli affari, delimitato dai propilei neoclassici disegnati da Giuseppe Cusi e realizzati da Antonio Pagnoncelli: al di là delle Muraine l’unico edificio era la Fiera; al di qua era campagna

Ora, sindaco Giovan Battista Camozzi, fratello di Gabriele amico di Giuseppe Garibaldi, e patriota lui stesso, la città venne illuminata a gas; entrarono in funzione le prime tramvie civiche e, con il 1872, col trasferimento del Municipio l’emancipazione della Città Bassa fu portata a compimento.

Anche al teatro Riccardi, nel 1868, arrivò l’illuminazione a gas, che sostituì quella ad olio grazie ad una grande lumiera di centoventidue fiamme per la sala, più un’altra più piccola per l’atrio. Nel 1869 vennero effettuati alcuni lavori di restauro interni, ad opera di Giuseppe Carnelli e di Angelo Rota. Tra i lavori di pulitura e riverniciamento – scrive Ermanno Comuzio –  “spicca il nuovo assetto del boccascena. Sopra la ribalta fa bella mostra di sé un gruppo di cinque figure femminili in rilievo capitanate dalla Fama e servite da alcuni genietti i quali recano simboli dell’arte scenica. Le figure sono collegate fra loro da finti panneggi che arrivavano fino al lampadario centrale. Tutt’intorno si svolge un cornicione in ordine composto, diviso in sei parti, in ognuna delle quali sta un medaglione che rappresenta un ‘grande’ del teatro: Donizetti, Mayr, Bellini, Mercadante, Alfieri e Goldoni, mentre Rossini sta nel mezzo, vicino alla Fama. Sopra ogni medaglione, un putto in gesso mostra un simbolo delle opere degli autori raffigurati. II cornicione è ‘leggermente ma elegantemente decorato di cordoncini d’oro a fasce bianche, con graziosi ornamenti di meandri e rosoni in carta pesta’. I palchi offrono decorazioni alternate rappresentanti la tragedia e la musica, ed ‘i panni d’ornamento al palco scenico sono egregiamente dipinti in velluto rosso con ricca frangia di oro ed ermellino’. Inoltre il primo ordine dei palchi è dipinto a lucido imitante il marmo di Carrara”.

L’esterno era ancora quello delle origini, col suo angusto portichetto e i muri scrostati. Resterà cosi ancora per quasi trent’anni.

Nel 1877 si rifecero l’armatura e la copertura del tetto, si rinnovò la pavimentazione della platea e si sostituirono i sedili di platea (quelli esistenti, a parte la loro vecchiezza, erano talmente scomodi da “rompere le reni”).

In quello stesso anno (1887), l’apertura della funicolare, pur migliorando i rapporti tra le due città, non impedì il declino del Sociale; anche per il Riccardi in realtà il periodo non era molto brillante: a metà ‘800 il sistema fieristico bergamasco era entrato in crisi. Anche a causa della decadenza della Fiera e quindi delle minori entrate, nel 1855 il Consiglio Comunale aveva votato l’abolizione del contributo ai due teatri cittadini.

Il centro di Bergamo nel 1885. Al centro della  foto, di fronte alla ” Fabbrica della Fiera”, l’edificio più alto è il Teatro Riccardi (Foto di Cesare Bizioli, Raccolta Lucchetti)

La cessazione della dote comunale acuì le difficoltà del Sociale, che diventarono l’emblema di quelle della Città Alta, mentre con la decadenza della Fiera entrò in crisi anche la gestione del Riccardi, che in mancanza delle sovvenzioni municipali fece decadere il livello degli spettacoli, registrando un calo della partecipazione di pubblico.

Retro e fiancata lato ovest del Teatro Riccardi (Raccolta Pelandi)

Un’epoca stava finendo ed un’altra doveva fare i conti col proprio futuro. S’incominciò a dibattere di un possibile cambiamento del centro di Bergamo e della possibilità di avere un unico teatro che fosse sintesi delle due città. La svolta decisiva arrivò con la fine del secolo.

Il Teatro Riccardi nel 1895. Da qualche tempo si parla di un rinnovamento: il “goffo” portico è particolarmente preso di mira (Proprietà Museo delle Storie di Bergamo, Archivio fotografico Sestini, Raccolta Domenico Lucchetti)

Un primo segno di riscossa si ebbe quando la gestione del teatro venne affidata a un capomastro intraprendente, Luigi Dolci, attratto dal mondo dello spettacolo e impresario di un teatrino di legno che sorgeva provvisoriamente in Piazza dei Baroni, oltre che costruttore di due teatri nello stesso luogo dalla vita piuttosto breve, l’Ernesto Rossi e il Givoli.

Teatro Riccardi – Dettaglio (Raccolta Gaffuri)

Dal 1879 la gestione del Riccardi venne assunta da una donna, Giovannina Lucca, vedova di un importante editore musicale diretto rivale dei Ricordi, la quale presentò fra l’altro in teatro, in prima nazionale, l’opera SteIla del Nord del compositore tedesco Meyerbeer.

Federico Gambardelli (Albino 1858-1922) Tenore: Grande interprete delle opere verdiane. Nel 1898 si fa sacerdote ed inevitabilmente viene richiesto da tutti i parroci come cantante solista nelle funzioni religiose. Mons. Antonio Cagnoni, direttore della cappella musicale di Santa Maria Maggiore, gli scriveva: “Sa magnificamente interpretare le povere sue (mie) note, alle quali la splendida voce e lo squisito sentimento danno efficacia e mirabile effetto. Dopo che Pio X proibì di eseguire gli “a solo” nelle chiese, si dedicò esclusivamente al culto ed alle opere ascetiche (Da: “Bergamo nelle vecchie fotografie” – Domenico Lucchetti)

Nel 1895 il teatro passò ad una società di cittadini (che divennero proprietari secondo un sistema di quote dette carature) e vi fece per la prima volta la sua comparsa un’opera di Wagner, propugnatore di una nuova concezione del melodramma, che provocò anche a Bergamo violente polemiche. Insieme all’opera e alla prosa furono ospitati al Riccardi spettacoli e manifestazioni di vario tipo, compreso il “varietà” (con artisti di eccezionale valore, come il trasformista Fregoli), le “accademie musicali”, gli incontri sportivi (lotta, scherma, per citarne alcuni), nonché il circo (fece scalpore il Wild West Show di Buffalo Bill, già famoso cacciatore di bisonti).
Fra i meriti della citata Giovannina Lucca è l’aver Portato sulla scena del Riccardi, nel 1885, l’opera postuma e incompiuta di Donizetti “Il Duca d’Alba”, completata delle parti mancanti dal maestro bergamasco Matteo Salvi.

Fu nel nome di Donizetti che avvenne una svolta determinante nella vita del teatro: nel 1897, in occasione del centenario della nascita del compositore, il Teatro Riccardi assunse il nome di Teatro Gaetano Donizetti.

La solenne commemorazione culminò nell’inaugurazione del monumento dello scultore Francesco Jerace, posata nella piazza che fiancheggia il lato est dell’edificio.

L’inaugurazione del monumento a Gaetano Donizetti (26 settembre 1897), eretto di fianco al teatro dallo scultore Francesco Jerace (Raccolta Lucchetti)

Con l’occasione si provvide al completo rifacimento della facciata, la quale, edificata a cura dell’architetto Pietro Via,  assunse l’aspetto – salvo particolari – che conosciamo oggi.

Il Teatro Gaetano Donizetti appena ultimato (1897 ca.). Il Teatro Donizetti assume l’attuale denominazione nel 1897, in occasione del centenario della nascita del compositore. Sono gli stessi anni in cui, in Città bassa, si costruisce  il Teatro Nuovo (Proprietà Museo delle Storie di Bergamo, Archivio fotografico Sestini, Raccolta Domenico Lucchetti)

 

NOTE

(1) Francesca Fantappiè, «Per teatri non è Bergamo sito». La società bergamasca e l’organizzazione dei teatri pubblici tra ’600 e ’700. Copyright © 2010 by Fondazione per la Storia Economica e Sociale di Bergamo.

(2) Francesca Fantappiè, Ibidem.

(3) Bortolo Riccardi apparteneva a una famiglia bergamasca vivace e intraprendente, arricchitasi con la produzione e il commercio della seta.

(4) Francesca Fantappiè, Ibidem.

(5) Francesca Fantappiè, Ibidem.

(6) Francesca Fantappiè, Ibidem.

(7) teatrodonizetti.it

(8) Il 3 marzo 1803 si costituì una società di 54 membri (una ventina almeno dei quali, proprietarî di palchi al Riccardi) che pochi giorni dopo elessero al proprio interno una deputazione teatrale, che si occupò della scelta del luogo, dell’acquisizione e predisposizione del terreno (con demolizione dei fabbricati preesistenti), della commissione di un progetto all’architetto prescelto (Pollack, che lo data 7 dicembre 1803). I lavori iniziarono a fine 1804, concludendosi nel 1808 (morto Pollack nel 1806, il cantiere passò ad Antonio Bottani). Il 16 aprile 1808 vi fu la stesura e l’approvazione del regolamento per l’estrazione dei palchi, effettuata il 30 luglio; il 26 dicembre 1808, vi fu l’inaugurazione del Teatro della Società.

(9) Va però precisato che l’inizio della stagione del Carnevale cadeva notoriamente il 26 dicembre, per cui ad esempio la dizione ‘carnevale 1810’ significava che i suoi spettacoli potevano principiare a partire dal 26 dicembre 1809.

Riferimenti

Paolo Fabbri, Le due città, in Luigi Pilon, “Il Teatro Sociale di Bergamo. Vita e opere”. 2009 Silvana Editoriale – Cinisello Balsamo (MI). Fondazione Donizetti – Bergamo.

teatrodonizetti.it

Francesca Fantappiè, «Per teatri non è Bergamo sito». La società bergamasca e l’organizzazione dei teatri pubblici tra ’600 e ’700. Copyright © 2010 by Fondazione per la Storia Economica e Sociale di Bergamo.

Bergamo nel Dipartimento del Serio (1797-1814), i cambiamenti nella città e nel territorio e l’introduzione del catasto

Con il trattato di Campoformio, dopo circa tre mesi dal suo stabilimento, la Repubblica Bergamasca (subentrata alla caduta del dominio veneziano su Bergamo) entrava a far parte della Repubblica Cisalpina (promulgata nel luglio del 1797), ponendo fine alla breve esperienza di autogoverno cittadino: Bergamo, in qualità di capoluogo del Dipartimento del Serio, veniva ora a dipendere dal potere centrale milanese assumendo un nuovo ruolo rispetto al passato: da città di confine entrava in diversa relazione con il resto della Lombardia.

La suddivisione politica dell’Italia nel 1796 prima della costituzione della Repubblica Cisalpina

 

Configurazione del Nord e del Centro Italia nel 1799. Con il trattato di Campoformio, dopo circa tre mesi dal suo stabilimento la Repubblica Bergamasca entra a far parte della Repubblica Cisalpina come Dipartimento del Serio, restandovi sino al decadere del Regno d’Italia seguito dall’avvento del Regno Lombardo-Veneto e dell’occupazione austriaca. L’istituzione del dipartimento segna la fine delle articolate autonomie di cui avevano goduto le valli orobiche durante il dominio veneziano

Intanto in Europa si stava preparando la prima coalizione contro la Francia. Mentre Napoleone di trovava in Egitto, nella primavera del 1799 scendevano in Lombardia gli Austro-Russi, comandati da Suvarow.

Ricevuta di pagamento daziario, durante il periodo dell’occupazione austro russa a Bergamo

Il Direttorio bergamasco della Cisalpina si scioglieva e i suoi membri emigravano. I cosacchi entravano in Bergamo da Porta Broseta il 24 aprile spargendo terrore nella città. L’evento è ricordato in due dipinti di Marco Gozzi, collocati in una cappella del Santuario di Borgo Santa Caterina.

Ex-voto di Marco Gozzi (1759-1839) rappresentante un evento miracoloso: il passaggio di truppe francesi ed alemanne in Borgo Santa Caterina, avvenuto senza arrecare danni. Nel dipinto, la Madonna Addolorata venerata nel Santuario proteggere dall’alto i suoi devoti. Il borgo è osservato dal ponte della Morla e in prospettiva è visibile la colonna posta al centro della via

 

Gli Austro Russi in Borgo S. Caterina. Ex voto (1799). Bergamo. Santuario di Borgo S. Caterina. Il dipinto rappresenta l’ingresso nel borgo di S. Caterina, in data 14 aprile 1799, di un distaccamento austro-russo che insegue truppe francesi

Ma questo stato di cose durò breve tempo: nel novembre Bonaparte ritornava dall’Egitto a Parigi, veniva eletto primo console; nella primavera del 1800 piombava nuovamente in Italia; sconfiggeva nel giugno gli austriaci a Marengo e il territorio orobico entrava a far parte della seconda Cisalpina  (1800-1802). Con la Consulta di Lione del 1802 si emanava una nuova costituzione e nasceva così sotto la Vice-Presidenza di Francesco Melzi d’Eril la Repubblica italiana (1802-1805), che alla proclamazione del maggio 1805 di Napoleone Imperatore dei Francesi, doveva divenire Regno d’Italia (1805-1814) sotto il comando del Vice-Re Beauharnais.

Dipartimenti napoleonici italiani. Il Dipartimento del Serio vede definiti i propri confini nel 1801 con l’acquisizione della Valle Camonica, che farà parte della provincia bergamasca fino all’Unità; altra importante rettifica rispetto al periodo veneto era stata nel 1798 l’annessione, a sud, della Gera d’Adda e della Calciana

Se con la prima Cisalpina si era affermata una classe dirigente composta da uomini già politicamente attivi nei mesi della repubblica democratica (con Marco Alessandri e Girolamo Adelasio nel Direttorio), con la proclamazione della Repubblica italiana e quindi del Regno d’Italia venne realizzato un apparato statale fortemente centralizzato, che determinò la fine della autonoma organizzazione della municipalità di Bergamo, tanto che nel 1805 l’albero della libertà scomparve dalle piazze cittadine per decreto sovrano.

Il regime chiedeva ora la collaborazione di notabili più moderati e conservatori, scelti fra i proprietari terrieri, la borghesia ricca dei commerci e delle professioni, gli intellettuali, i gradi alti dell’esercito, a cui concedeva cariche di prestigio, onorificenze e titoli nobiliari, col proposito di allargare le basi del consenso e di ridurre la resistenza al nuovo assetto statuale.

Lettera spedita a Brescia a Bergamo nel 1798, nel periodo della Repubblica Cisalpina

In contrasto con l’atteggiamento personale del vescovo Dolfin, che appoggiava la politica francese, il clero continuava ad opporsi esplicitamente al governo, esercitando una forte influenza su una popolazione saldamente ancorata ai principi religiosi.

Vincenzo Bonomini (1757- 1839), “Il soldato tamburino”, chiesa di S. Grata inter vites, Borgo Canale (Bg). Vestito di verde, bianco e rosso, i colori della bandiera italiana, nata allora in Lombardia come vessillo della Repubblica Cisalpina, e che poi sarà adottata dal nuovo Stato unitario

 

Vincenzo Bonomini (1757- 1839), “Il soldato tamburino” (particolare), chiesa di S. Grata inter vites, Borgo Canale (Bg). Alle spalle del soldato, le truppe napoleoniche

Tale opposizione si era avviata nel periodo “giacobino” (1797), con le soppressioni di conventi e monasteri e relativo incameramento dei beni (nel 1810-1811 si giunse alla soppressione di tutti gli istituti religiosi), la chiusura del seminario, le requisizioni di argenti, le proibizioni di processioni e di altre manifestazioni esteriori di culto, che avevano cominciato ad offendere il sentimento religioso di gran parte del popolo; ma proseguì anche negli anni successivi, quando Napoleone cercò la riconciliazione con la Chiesa quale mezzo indispensabile per la stabilità politico-sociale, nonostante in nome della difesa della laicità dello stato e della razionalizzazione della vita religiosa e della cura pastorale, Napoleone avesse anche decretato la riduzione del numero delle parrocchie, che a Bergamo scesero da 15 a 7.

A tali provocazioni, il clero locale rispose con la scarsa disponibilità a collaborare e con la diffidenza, ma anche con l’opposizione oltranzista di carattere politico operante attraverso l’attività clandestina delle congregazioni di San Luigi o Mariane.

Scorcio del Mercato delle Scarpe e dell’imbocco di via Porta Dipinta verso il 1870, in una litografia di G. Elena (Racc. Vimercati Sozzi, Bibl. Civica)

In quell’epoca contrassegnata, con Bonaparte,  da rivolgimenti sociali, politico-amministrativi e militari, nell’arco di pochi anni non solo mutarono le strutture politiche e si ridefinirono le classi dirigenti, ma si crearono anche istituzioni di gestione dell’economia e del “soddisfacimento del bisogno sociale” che ebbero un valore epocale, e non ultima la nascita del Codice di Commercio e delle Camere di Commercio.  La prima sede della Camera di Commercio a Bergamo, è la “sala maggiore del Palazzo Civico” (attuale sede della Biblioteca A. Mai), dove già aveva esercitato la Camera dei Mercanti.

Con la legge del 26 agosto del 1802, Francesco Melzi d’Eril, vice presidente della neonata Repubblica Italiana, stabilisce che in tutto il territorio ogni Tribunale mercantile debba denominarsi Camera Primaria di Commercio attuando con ciò una rottura con le precedenti istituzioni dell’ancien regime: lo Stato diventa garante del progresso economico e mediatore tra gli interessi economici che esprimono le diverse forme imprenditoriali, dell’artigianato o dell’agricoltura. Anche a Bergamo, il 15 novembre 1802, nasce la Camera di Commercio, i cui membri (appartenenti al mondo imprenditoriale) inizialmente sono di nomina governativa, ma successivamente saranno eletti dagli stessi commercianti sulla base di una nuova forma di verifica delle ricchezze imponibili. La prima sede della Camera di Commercio è la “sala maggiore del Palazzo Civico” (attuale sede della Biblioteca A. Mai), dove già aveva esercitato la Camera dei Mercanti, ma già nel 1803 si comincia a sistemare l’ex Tribunale per offrire alla Camera una sede autonoma. Dapprima si trasferì in un locale in via Aquila Nera dove vi restò dal 1804 al 1809, momento in cui la Camera di Commercio trovò una sistemazione in Città bassa

Cambiò il corpus legislativo e amministrativo; al Comune vennero assegnati compiti nei campi dell’istruzione, dell’assistenza, del controllo anagrafico, che erano prima di quasi esclusiva competenza di organismi caritatevoli ed ecclesiastici. Vennero completamente riorganizzati gli uffici comunali, introdotta la nuova figura del Segretario generale e l’uso del protocollo nella scrittura degli atti comunali.

Venne aggiornata secondo nuovi e più moderni criteri la fiscalità, e con l’introduzione della registrazione catastale delle proprietà immobiliari, venne imposta una perequazione fiscale più razionale ed omogenea (prima di allora la tassazione era basata sulle denunce dirette dei proprietari) (1).

(1) Ispirato al modello Teresiano, il catasto napoleonico  è concepito come strumento di accertamento e perequazione fiscale. Prima di allora la tassazione era basata sulle denunce dirette dei proprietari. Con il catasto, in Provincia di Bergamo, per alcune zone già a partire dalla prima metà del Settecento con il Catasto Teresiano, viene introdotto un criterio razionale di individuazione geometrico-particellare del bene immobile e una meticolosa procedura di determinazione della rendita per il calcolo dell’imposta prediale. Si avviano così le operazioni per la prima catastazione condotta con criteri moderni sul territorio bergamasco, ovvero per tutta quella parte dell’attuale provincia che era sottoposta a Venezia, mentre per i ventiquattro comuni ex milanesi le rilevazioni erano già state fatte al tempo del catasto cosiddetto Teresiano. Nel dipartimento del Serio i lavori iniziano nel 1808 sotto la direzione dell’ingegner Giuseppe Manzini e si concludono nel 1813. In tale occasione viene composta la prima mappa di Bergamo in scala 1:2000; il documento, fonte di straordinaria importanza per la conoscenza del tessuto urbano, è conservato all’Archivio di Stato di Milano (una Pianta di Bergamo dell’ingegner Giuseppe Manzini – Acquaforte – è conservata presso la Biblioteca civica A. Mai).

Si procedette alla realizzazione di un nuovo ordinamento territoriale, strutturato secondo una più ordinata geografia dipartimentale, e in linea con un’ottica tutta urbano-centrica si procedette persino ad una ricognizione urbana ed extraurbana del territorio circostante, con l’evidente finalità di procedere verso la costituzione di un regesto generale dei beni architettonici, archeologici e ambientali di maggiore risonanza popolare.

A tale scopo, il pittore bergamasco Marco Gozzi (1759-1839) ricevette l’incarico, prima dal governo francese e poi da quello austriaco, di fornire annualmente all’amministrazione quadri di paesaggi che rilevassero topograficamente alcuni spazi di vedute e paesaggi del territorio lombardo, e con lui si inaugurò il filone del paesaggio moderno lombardo.

Avviso riguardante le estrazioni del lotto, 1804

I diversi provvedimenti adottati in materia sociale, assistenziale, religiosa, culturale, scolastica, sanitaria (questi ultimi determinando la costruzione di campisanti fuori dall’abitato) e urbanistica, produssero evidenti effetti sulla struttura della città, che subito dopo il passaggio delle truppe francesi si vide cambiare volto attraverso una serie di opere pubbliche, concepite secondo un ottica di decoro cittadino.

Bergamo, Cimitero di Valtesse, soppresso nel 1920. Con l’Editto di Saint-Cloud, emanato in Francia nel 1804 per motivi d’igiene e di salute pubblica, il seppellimento doveva  avvenire non più nelle chiese, nei sagrati o negli spazi ad essi adiacenti (“Coemeterium Plebis”), ma in appositi recinti da collocarsi fuori dalle mura cittadine: nascevano così i moderni cimiteri,  che ancora chiamiamo “campisanti” a ricordo del loro antico uso

 

DUE PAROLE SULLA FIERA

Il periodo della dominazione napoleonica segna l’ampliamento delle dimensioni del commercio fieristico, preparando l’economia bergamasca ad entrare nel più vasto mercato lombardo e a trarne presto vantaggi, per confronto concorrenziale con la dinamica presenza industriale milanese.

Durante il periodo napoleonico, in tempo di fiera si commerciavano panni di lana, ferrarezza, pietre coti, tele bianche (cotone), sete; il tutto rappresentava il sostentamento della città e del suo territorio

Tra i provvedimenti per il miglior funzionamento, l’ordine e l’organizzazione generale della fiera, nel 1809 si provvede a spostare le botteghe del ferro e nel 1810 il mercato dei bovini, trasferito dal Lazzaretto alla fiera.

Insieme agli altri, anche i provvedimenti di decoro pubblico contribuiscono a fare della fiera un luogo d’incontro e di cultura di tutta la popolazione bergamasca.

D’altro canto però le guerre aggravano anzitutto il problema dell’insufficiente produzione di frumento e gli eventi europei incidono negativamente anche sullo scarso sviluppo della rete viaria (il commercio di transito che da Venezia alla Svizzera, Germania e Olanda passava per la dogana di Bergamo, era via via scemato anche a causa della mancata manutenzione della strada della Val S. Martino e della Ca’ S. Marco).

 

LA CITTA’ NEL PERIODO NAPOLEONICO

In seguito alla soppressione di tutti gli istituti religiosi, avviata nel 1797 e portata a termine nel 1810-1811 con relativo incameramento dei beni, nell’ottica della riorganizzazione dei centri di potere i conventi e i monasteri vengono convertiti in caserme, uffici doganali, carceri, case di lavoro, ospedali, ospizi (mentre il previsto nuovo manicomio presso il Convento di Astino non verrà realizzato).

All’architetto viennese Leopoldo Pollack è affidata la risistemazione ad uso di carcere dell’enorme complesso edilizio dell’ex convento di S. Agata, anche se il progetto verrà realizzato solo per piccoli lotti a causa di difficoltà burocratiche e finanziarie.

Bergamo, ex-convento di Sant’Agata, fronte del cortile interno. Il complesso conventuale eretto dai Teatini nella prima metà del Seicento, è stato adibito a carcere dal 1797 al 1977

 

Pianta dell’edificio delle carceri di S. Agata, architetto Pollack (Archivio di Stato di Bergamo, Tribunali Giudiziari, bb 1775 c 1776)

 

Sezioni dell’edificio delle carceri di S. Agata, architetto Pollack (Archivio di Stato di Bergamo, Tribunali Giudiziari, bb 1775 c 1776)

Il principio della concentrazione delle opere di beneficenza nella Congregazione di carità (1807) comporta l’unificazione nella Casa del Conventino dell’Istituto delle orfane.

L’Orfanatrofio femminile presso la Casa del Conventino, nel 1906

Il cosiddetto bando della mendicità (era fatto divieto ai mendicanti di questuare per le strade) determina l’istituzione dell’Ospedale della Maddalena per incurabili ed inabili al lavoro.

Il portone della chiesa della Maddalena, in via S. Alessandro

Il convento dei francescani di S. Maria delle Grazie viene trasformato nel 1811 in Albergo per i poveri (casa di ricovero delle Grazie), fuori delle Muraine.

Il chiostro del convento dei francescani di S. Maria delle Grazie

 

Affacciato sullo slargo di Porta Nuova, l'”Albergo dei poveri” (ex convento francescano di S. Maria delle Grazie), istituito nel 1811

La legislazione scolastica, che prevede tra l’altro l’apertura di scuole pubbliche presso ogni sede parrocchiale (1801), porta con la riforma del nuovo liceo dipartimentale all’acquisto dell’ex convento di Rosate (1803) e alla fondazione dell’Istituto musicale (1805).

Il colle di Rosate, culminante in corrispondenza del Liceo Sarpi (Ph Walter Barbero, da “Bergamo”)

 

Parte della Città col convento di S. Grata, gli archi della cinta medioevale, il convento a destra di S. Maria di Rosate e il Palazzo a sinistra dei Sozzi (sec. XVI) ora Seminario (Raccolta Conte Piccinelli)

Sull’onda rivoluzionaria che diffondeva certo aggiornamento ad una modernità con opere utilmente pubbliche, entro il primo decennio dell’Ottocento si eressero una serie di edifici, che rientravano in quel processo di espansione delle infrastrutture e dei servizi che è proprio della politica urbanistica napoleonica.

Si completava così il maggior teatro della città in piano, il teatro Riccardi, ricostruito da Bortolo Riccardi dopo un terribile incendio e riaperto al pubblico nel 1799.

Il Teatro Riccardi sul Sentierone, in seguito riadattato e intitolato a Gaetano Donizetti

Nel 1797, mentre cadeva la repubblica di Venezia era in corso di costruzione del grande Palazzo Grumelli-Pedrocca (lungo l’attuale via S. Salvatore) su progetto di L. Pollack: un estremo aggiornamento stilistico in una Bergamo alta che aveva ormai perso la funzione di centro cittadino e dove – ironia della sorte – i  nobili che in gran parte la occupavano si riconoscevano nelle colte intuizioni linguistiche dell’architetto viennese.

Palazzo Grumelli Pedrocca (1797), in via S. Salvatore, progettato dal Pollack (Ph Walter Barbero, da “Bergamo”)

 

L’ingresso di Palazzo Grumelli Pedrocca (1797), in via S. Salvatore, progettato dal Pollack (Ph Walter Barbero, da “Bergamo”)

Ed è proprio alla presenza dell’aristocrazia che si deve il più importante intervento architettonico realizzato in Bergamo alta nei quindici anni della presenza napoleonica, quando, nel 1803, una società di nobili appositamente formatasi, commissiona al Pollack il progetto di un teatro (teatro della Società o dei Nobili, oggi noto come Teatro Sociale) che sostituisca la poco dignitosa sistemazione provvisoria (dal 1797) di un teatro nel Palazzo della Ragione e faccia concorrenza all’unico vero teatro della città (esistente dal 1770 davanti alla fiera).

Sezione del Teatro Sociale, disegnata dall’architetto viennese Leopold Pollack

 

Il Teatro Sociale, realizzato tra il 1806 e il 1809 su disegno dell’architetto Pollack, prende corpo all’interno di una delle più complesse operazioni edilizie sperimentate nel cuore della città antica. Pur non rinunciando a un disegno rigorosamente neoclassico, la Pollack usa accortamente i materiali per armonizzare il grande edificio al contesto medievale, cosciente della funzione di recupero della storia

L’area prescelta, alle spalle dell’ex Palazzo del Podestà e affacciata sulla via principale (attuale via B. Colleoni), è significativa della volontà di rilanciare la “centralità” (se non altro mondana) di Bergamo alta; e in effetti, con la restaurazione austriaca sul Lombardo-Veneto Bergamo alta verrà ad essere interessata da una serie di interventi che la riproporranno, se non come unico polo della centralità urbana, come uno dei luoghi di più alto interesse della vita cittadina, il primo dei quali, nel 1818, sarà la sistemazione a sede dell’“Ateneo di Scienze, Lettere e Arti”, laddove il portico, costruito nel 1759 sul fontanone visconteo (a est di S. Maria Maggiore), sembra voler indicare nelle sedi istituzionali della cultura uno degli strumenti per la rivitalizzazione della città alta: una tendenza che persisterà nel successivo periodo austriaco (2).

(2) A questi interventi seguirà infatti l’’apertura del Conservatorio musicale, la sistemazione a biblioteca del Palazzo della Ragione, la costruzione della grande sede del liceo-ginnasio sul sito dell’appositamente demolito convento di S. Maria di Rosate,  oltre che la nuova sede del Seminario vescovile e gli  interventi volti a restituire il circuito delle mura veneziane all’uso civile.

Particolare del portico, costruito nel 1759 sul fontanone visconteo, ad est di S. Maria Maggiore, laddove nel 1818 avverrà la sistemazione a sede dell’“Ateneo di Scienze, Lettere e Arti”, istituito con decreto napoleonico il 25 dicembre 1810 allo scopo di fondere in un unico organismo l’Accademia degli Eccitati e quella degli Arvali, secondo la tendenza illuminista volta a riformare e unificare gli istituti culturali.  Ma sarà solo nel 1818 che l’Imperial Regia Delegazione Provinciale disporrà di dare come sede definitiva il pubblico locale del Civico Museo, sopra il Fontanone in Piazza Duomo

 

Si collocano nel quadro delle avanguardie culturali europee eminenti figure di bergamaschi come Lorenzo Mascheroni, letterato e scienziato. Patrimonio di pochi singolari personaggi sono i fermenti di studiosi solitari o riuniti in associazioni, opere di scienziati, atti munifici dettati da un nuovo e più aperto concetto di cultura, estesa all’intera comunità (nell’immagine, l’inaugurazione del monumento a Lorenzo Mascheroni, il 5 settembre 1897, nel Boschetto di Santa Marta)

Ai margini della città antica, nello storico borgo San Tomaso, l’Accademia, voluta dal conte Giacomo Carrara, assume più nobile forma su disegno di Simone Elia, concludendosi nel 1810.

L’Accademia, fondata nel 1780 dal conte Giacomo Carrara, comprende una scuola di disegno secondo il gusto del tempo orientata al recupero della misurra classica, ed una galleria di 1500 dipinti aperta al pubblico con “chiara e antiveggente liberalità”

 

La chiesetta di S. Tomaso, demolita nel 1868 per la sistemazione della nuova piazza dell’Accademia

Da leggere invece nell’ottica nella celebrazione del potere sono i progetti che si susseguono per la trasformazione dell’Obelisco di Prato, che viene dedicato a Napoleone…

L’obelisco dedicato a Napoleone Bonaparte. L’obelisco era stato eretto in realtà in onore del podestà e vice capitano della Repubblica Veneta  Gianfranco Correr per essersi tanto prodigato durante la grave carestia del 1775. A seguito dell’invasione francese del 1797, venne dedicato a Napoleone, ma nel 1801, con l’occupazione austro-russa della città, l’intestazione venne rimossa. Con il ritorno delle truppe francesi in Bergamo, si riportò il nome di Napoleone sull’obelisco, dal quale peraltro venne cancellato intorno al 1815. Ma le peripezie dell’intitolazione non finiscono qui

…nonché i diversi monumenti di architettura effimera che nel periodo vengono eretti in città e l’abbellimento di porta Osio, all’incrocio tra via Moroni e via Palma il Vecchio, che ora rappresenta la nuova direttrice principale verso Milano.

Costantino Rosa, La diligenza per Milano a Porta Osio, 1850

 

Porta Osio, la porta aperta nelle muraine sulla direttrice per Milano. Di questa porta oggi resta una costruzione che si pensa possa essere stato il casello del dazio

Si fa progettare dall’architetto G. Quarenghi un disegno per costruire fuori Porta Osio un arco di trionfo da erigere per l’arrivo imminente a Bergamo di Napoleone Bonaparte. Il progetto non fu mai realizzato.

Progetto di G. Quarenghi per un arco trionfale da erigersi a Porta Osio (Bergamo) in onore di Napoleone Bonaparte (B. Belotti, Storia di Bergamo e dei bergamaschi, ed. Bolis, Bergamo, 1989)

Si provvede all’edificazione della strada di Circonvallazione fuori delle Muraine.

 

Via Pitentino, oggi Frizzoni, nel 1916. La cosiddetta Strada di Circonvallazione lambiva esternamente gran parte del tracciato delle Muraine – a sua volta costeggiato dalla Roggia Serio – che racchiudevano i Borghi della Città Bassa e si raccordavano alle Mura veneziane di Città Alta nei pressi di Porta Sant’Agostino da una parte e di Porta San Giacomo dall’altra

Con la caduta di Venezia e la conquista napoleonica, perduto il ruolo di città di frontiera Bergamo vede ulteriormente indebolito il ruolo strategico-militare della cinta murata cinquecentesca; venute meno tutte le preoccupazioni di carattere difensivo, la poderosa macchina bellica abbandona la funzione di struttura militare e a poco a poco prende a trasformarsi in un privilegiato luogo di passeggio, affacciato sulla città e la pianura.

Nelle vedute settecentesche come quella di Fossati, riprese dal Fortino presso la chiesa di S. Maria del Giglio, cogliamo la perdita ormai imminente della funzione militare delle Mura: benché ancora dotate di un forte risalto protettivo, le vedute ci restituiscono un’atmosfera serena, con figure che passeggiano e cavalieri.

Bergamo Alta vista da Porta S. Giacomo – Giorgio Fossati (1704 – 1785). Con la fine della dominazione veneta e l’ingresso dei Francesi in città, la vita civile prende il sopravvento sui vincoli militari, la città comincia progressivamente a riappropriarsi dei suoi spazi e a  fiorire

Sulla scia di una tendenza ormai in atto, nel 1781 il podestà Alvise Contarini propone di trasformare in passeggiata le Mura da S. Giacomo a S. Agostino, tratto che doveva essere molto frequentato se nel 1795 si doveva già provvedere al restauro dei “divisati deliziosi passeggi e giardini pubblici”, e all’abbassamento del tratto di vecchie mura pericolanti fuori Porta S. Giacomo, lungo la strada che porta a Borgo S. Leonardo (3).

(3) Monica Resmini, Le Mura, cit. in bibliografia.

F.B. Werner, Veduta prospettica di Bergamo, Ausburg, 1740 (Archivio Storico A. Mai, Bergamo)

Scompaiono i cannoni, vengono tolte le garitte e demoliti i terrapieni. I ponti lignei di accesso alle porte delle Mura vengono sostituiti da ponti in muratura, e le porte definitivamente aperte.

Porta S. Giacomo – Ex voto – Anonimo, 1727. Il dipinto, con lo stemma dei Tasso e la carrozza della contessa M. Tasso, mostra ancora le garitte sullo spalto e la struttura in legno con il ponte levatoio, che nel 1780 verrà sostituito con archi in pietra dal Podestà veneto Alvise Contarini  (Bergamo, proprietà S. Angelini)

 

Scorcio su Porta S. Giacomo con la rampa di raccordo in muratura, in una xilografia settecentesca

Le idee illuministiche di decoro urbano, legate a uno sfruttamento più razionale degli spazi, portano con sé nuovi canoni estetici che impongono l’ampio utilizzo del viale alberato.

Porta S. Giacomo e il viale alberato fino a S. Agostino, in una ripresa datata 1903

Lungo la cinta bastionata, il primo ad essere piantumato, a ippocastani e platani, è il tratto tra Porta S. Agostino e Porta S. Giacomo; resi più accessibili e “alla moda”, i baluardi cominciano ad animarsi di cittadini a passeggio.

Dopo la piantumazione di questo primo tratto, viene sistemata a verde l’area nei pressi della Porta di S. Alessandro. Il modello del viale alberato sperimentato sulle Mura verrà adottato anche nei nuovi rettifili realizzati in città.

Pietro Ronzoni, Complesso di Sant’Agostino: veduta meridionale dal Baluardo di San Michele, 1837 (Milano, Quadreria dell’800). Nell’agosto del 1837 viene aperto al pubblico passagio la barriera delle Grazie di Porta Nuova dove erano stati costruiti i Propilei; poi nel settembre dell’anno successivo, a Bergamo, avviene la storica visita dell’imperatore Ferdinando I d’Austria. Il grande evento favorisce la costruzione della strada che unisce i Propilei di Porta Nuova alla Porta Sant’Agostino, denominata Ferdinandea, appunto, in onore dell’Imperatore. Il tracciato del viale (oggi intitolato a Vittorio Emanuele II) è costeggiato dagli alberi e nella parte finale incontra l’antica porta Sant’Agostino

Acquisiti da parte dell’amministrazione comunale i terreni degli spalti, si provvederà a piantumare il tratto da Porta S. Giacomo a Porta S. Alessandro.

Verranno effettuati degli imponenti interventi neoclassici, in linea con la tendenza che per tutto il Settecento vedrà l’apertura, nella città sul colle, di cantieri privati per la trasformazione o l’edificazione di palazzi signorili.

Palazzo Medolago Albani, costruito dal 1873 al 1891 dall’Arch. Simone Cantoni. Caratteristico il lampione a gas (ripresa del 1910 circa)

Con il tempo, anche il colle di S. Vigilio, posto al culmine della città, si ricoprirà di una folta cortina alberata e di una serie di ville di delizia, sorte per godere dell’invidiabile posizione panoramica.

Nelle aree poste ai piedi delle Mura, orti e vigneti si riappropriano dei pendii collinari, assediandoli con le loro volute e tappezzandoli di calde policrome: svanito il timore che eventuali nemici possano mimetizzarsi nella macchia e avvicinarsi senza essere visti, la severa e fredda cinta di pietra si trasforma in un bucolico giardino pensile.

In dipinto ottocentesco, di cui non si conosce l’autore, è ambientato sullo spalto del convento di S. Agostino, dove alcuni uomini sono intenti nel gioco delle bocce (Bergamo, proprietà S. Angelini)

La Pianta della città e del territorio di Bergamo, realizzata da Stefano Scolari nel 1680, mostra la doppia cortina presente nella città: le mura venete, che circondano l’abitato sul colle, e la barriera daziaria delle Muraine, che dalle Mura scende a contenere i borghi come abbracciandoli.

Planimetria prospettica di Bergamo Alta e dei Borghi – Incisione veneta stamp. da Stefano Scolari, Venezia, metà secolo XVII (uff. Tecnico Comune di Bergamo)

Quasi due secoli dopo, le mappe ad opera dell’ingegner Manzini, realizzate a cinquant’anni di distanza l’una dall’altra (1816 e 1863), rifletteranno i mutamenti avvenuti per le infrastrutture e l’estensione dell’edificato nella parte centrale dell’Ottocento, mutamenti che hanno seguito i vincoli imposti dalle cinte murarie ma hanno anche sottolineato la necessità e la possibilità di un loro superamento.

Pianta della Città di Bergamo e dei Borghi esterni redatta nel 1816 dall’ingegnere e architetto Giuseppe Manzini

L’EVOLUZIONE DEI CONFINI DELLA CITTA’ IN UN ARTICOLO

Nonostante la vicenda territoriale del Comune di Bergamo suggerisca l’immagine di un nucleo che si allarga o si ritrae senza spostare il suo centro né il suo asse, soprattutto negli ultimi due secoli la storia dei confini del Comune di Bergamo è abbastanza tormentata.
“Il tramonto del XIV secolo coglieva Bergamo nel pieno della signoria viscontea, dopo aver sostanzialmente esaurito un’esperienza municipale durata oltre due secoli.
Negli statuti cittadini – che ancora si emanavano nonostante le mutate condizioni politiche – le comunità di Colognola, Daste, Dalcio, Palazzo, Grumello e Calvi erano invece riportate come Comuni autonomi.
Anche la descrizione confinaria del 1392 escludeva la maggior parte di queste entità – dai limiti non sempre ben precisati – mentre comprendeva i territori di Torre Boldone e di Rosciano, ora frazione di Ponteranica. Colognola e le altre comunità citate, insieme con Lallio e Curnasco, sarebbero comunque state presto annesse al territorio di Bergamo, che sotto il dominio veneziano non subì cambiamenti di rilievo.

Le «grandi manovre» iniziarono nel 1797 quando Valtesse, Redona, Torre Boldone, Colognola, Grumello del Piano, Curnasco e Lallio si costituirono in Comuni autonomi.
Il decreto del 1805, che favoriva – ma sarebbe meglio dire imponeva – l’accorpamento dei piccoli municipi, avrebbe ispirato però una decisa inversione di tendenza.
Fu infatti il periodo napoleonico a segnare, per pochi anni soltanto, la nascita di una «grande Bergamo» che aveva accorpato ben 28 comuni della cintura (compresi Ponteranica, Seriate e Stezzano) e vedeva la circoscrizione cittadina confinare direttamente con Nembro, Zanica e Zogno.
Si era creato un maxi distretto amministrativo- dove il Comune coincideva con il cantone bergamasco – che era anche il simbolo del ruolo preminente affidato al capoluogo.

I provvedimenti legislativi seguiti alla Restaurazione si preoccuparono di restituire a tutti i Comuni della cintura la loro autonomia.
Intorno al Comune cittadino, ora confinato territorialmente al centro città, si costituiva in municipio il Circondario dei Corpi Santi, corrispondente ai Comuni censuari di Valle d’Astino, Boccaleone e Castagneta.
La nuova entità amministrativa – che riesumava una partizione territoriale del periodo veneziano – ebbe però vita brevissima perché nel 1818 fu di nuovo incorporata alla città.

L’inizio del ’900 vide il riproporsi dei tentativi di aggregazione dei Comuni finitimi. Nel 1918 il Municipio di Bergamo deliberò la richiesta di annettere a sé i territori di Valtesse, Redona, Colognola, Grumello del Piano e in parte di Ponteranica, incontrando l’ovvia opposizione dei Comuni interessati.

Non se ne parlò più fino al 1927, quando la commissione reale incaricata della riorganizzazione municipale diede parere favorevole a tutte le richieste d’annessione, eccezion fatta per quella del Comune di Seriate.

Nemmeno il dopoguerra vi operò modifiche importanti, eccezion fatta per una permuta del 1954 con Orio al Serio, necessaria alla ricostruzione del cimitero distrutto per far posto al campo di aviazione, e per una rettifica di confine con Ponteranica nel 1969.

L’ultima variazione in ordine di tempo risale al 1983, con l’annessione della borgata di Nuova Curnasco e di alcune aree appartenenti a Treviolo. Da quel momento Bergamo raggiunse l’attuale estensione di 3960 ettari” (4).

(4) Prove tecniche di “Grande Bergamo” – Paolo Oscar. L’Eco di Bergamo, 8 ottobre 2000.

Riferimenti

Da: Fondazione Bergamo nella Storia (riferimento essenziale)

Walter Barbero, Bergamo, Electa, 1985.

A cura di Paolo Cesaretti, Le Mura. Da Antica Fortezza a Icona Urbana. Testi di Monica Resmini, Renato Ferlinghetti e Gianmaria Labaa. Bolis, 2016.